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The devil within

2010
REGIA:
Tom Hardy
CAST:
Elizabeth Di Prinzio
Sarah Kathrin Harrison
Bill Oberst jr.

Il nostro giudizio

The Devil Within: un film generazionale che si trasforma in breve in un pessimo slasher. Con un esordiente al timone, la sceneggiatura imbarca acqua e affonda subito. 

Sarebbe ingiusto considerare The Devil Within un compendio più o meno esaustivo di tutta la sciattezza e la bruttezza del cinema per teenager.

Il film di questo esordiente, tale Tom Hardy, merita più attenzione di quella conferitagli dai centocinquanta agguerriti recensori dell’IMDB, questi tagliatori di teste che appendono stellette valutative a destra e a manca. Nessuno vuole farne l’elogio, s’intende, ma soltanto appuntarne qualche anomalia costruttiva, qualche stranezza sistemica.
Ecco, The Devil Within è un film saturo, pieno, infarcito come un sandwich, vergognosamente laccato. Nella confezione, ordinatamente riposti, ci stanno i suoi personaggi che, per quanto sagomati secondo le istanze del piccolo schermo, facce d’angelo, visini puliti e tutto l’assortimento, alla fine sono pure credibili. Il montaggio rapsodico e sinuoso al tempo stesso, sgranato a tratti, delicato altrove, dal canto suo spezza e unisce, facendosi scappare persino qualche emozione, vomitando fuori saltuari lirismi. Niente di serio, per carità, ma l’impressione è che questo impavido scommettitore (che già s’era fatto le ossa come aiuto-regista inDark Mirror e in Lonely Street) abbia giocato male le sue carte, puntando più di quel che doveva. E perdendo tutto con prevedibile fatalità.
L’inizio non era male, con questi liceali che, con le debite sfumature caratteriali, le gradazioni emotive, riuscivano anche a coinvolgerti, a darti qualcosa, magari di vago e confuso, ma pur sempre qualcosa. La bellissima dark lady (Sarah Harrison, nella realtà una biondaccia come tante) non ha paragoni. Una ragazza da sposare, se non fosse lesbica. Timida, tutta dipinta, metallara nel cuore, in fondo così dolce, da tutti allontanata per la sua colpevolissima “diversità”. Persino la sua amata, la popolare Serina (che di bello, poi, ha ben poco) la snobba per i maschietti. E quindi il preside, lo straordinario Bill Oberst, con la facciona inquietante e butterata, gli sguardi lascivi, i pensieri corrotti che su tutto domina come un’eminenza grigia. Il bullismo, le violenze fisiche e psicologiche, la solitudine, ma anche la bellezza, la speranza, la tenerezza di uno sguardo.
Se Hardy avesse fatto il bravo, avrebbe anche girato un film meritevole di ammirazione. Invece manco a pregarlo. Subito s’impenna e parte per la tangenziale. Tradendoci e colpendoci dove fa più male, nella fiducia che uno spettatore ripone nel regista, nel demiurgo, nel direttore d’orchestra.
Perché, cazzo? Perché l’ha fatto? Aveva tutto a disposizione, maestranze tecniche, esperienza sul campo, attori in gamba. The Devil Within sbarella sulla sceneggiatura di Matt Dean, anche se magari non è nemmeno colpa sua. Forse sono i produttori ad avere il dente avvelenato, ma comunque il risultato è quello che è. Allora hai veramente il pandemonio, perché dopo mezzora il film abbandona il generazionale per scadere nello slasher più truce.
Scene lunghissime come quella della festa con bagno in piscina non aiutano, ma il problema è che i delitti, oltre che le motivazioni, sono gettati alla rinfusa, appiccicati col taglia e incolla giusto per concludere alla bell’e meglio. I protagonisti perdono la bussola e improvvisano, perché nemmeno loro, si direbbe, si riconoscono in quel ruolo. Non chiamano la polizia quando dovrebbero, spariscono e riappaiono senza ragione. Quando le danze si chiudono con lo spiegone che illustra l’evidente, la rabbia prende il sopravvento. D’altronde l’avevamo capito tutti chi era l’assassino.