Featured Image

The dead outside

2008
Titolo Originale:
The dead outside
REGIA:
Kerry Anne Mullaney
CAST:
Sandra Louise Douglas
Alton Milne
Sharon Osdin

Il nostro giudizio

Ispirato a The Crazyes di George Romero, The Dead Outside è uno zombie-movie in cui però gli zombi sono sostituiti da individui infetti e la storia si concentra sul dramma dei sopravvissuti che devono scappare.

Nella storia del cinema pochi maestri sono stati copiati e rielaborati come George A. Romero. D’altronde il cineasta di Pittsburgh ha creato dal (quasi) nulla l’archetipico La notte dei morti viventi, diventato poi la bibbia da cui derivano tutti i film di zombi et similia. La suggestione con il film di Romero si dà nei primi dieci minuti di The Dead Outside. Il protagonista Daniel vaga di casa in casa alla ricerca di cibo in una Scozia deserta, silenziosa e inabitata, in un clima da ultimo uomo della terra. L’omonimo film di Ubaldo Ragona con Vincent Price vanta più di qualche credito con l’universo romeriano, dato che entrambi si ispirano al racconti I’m legend di Richard Matheson, e qui il cerchio si chiude. Anche perché The Dead Outside, più che alla Notte dei morti viventi, si ispira chiaramente a un film minore della filmografia romeriana, The Crazyes – La città verrà distrutta all’alba: anche qui unoutbreak, anche qui gli zombi sono sostituiti, nella sostanza ma non nella forma, da infetti, anche qui gli infetti sono pazzi e aggressivi (gli autori di The Dead Outside hanno creato un misto tra Alzhaimer e schizofrenia, ma senza troppe spiegazioni).

Niente di nuovo sotto al sole, verrebbe da dire, anche alla luce di quella declinazione dello zombi-movie che a livello contenutistico elimina la concezione del revenant per privilegiare quella meno metafisica della malattia. Nel film vengono definiti Dying, morenti, e vengono rappresentati come esseri intrappolati ossessivamente negli ultimi momenti vissuti prima della pazzia. Se si prendono in considerazione i precedenti, che siano 28 giorni dopo di Boyle oIncubo sulla città contaminata di Lenzi, ciò che balza all’occhio è la mancanza di qualsiasi piglio spettacolare. Un problema di budget, di sicuro, data la natura fortemente indipendente del progetto. Ma la scelta della regista esordiente Kerry Anne Mullaney di puntare tutto sul dramma dei personaggi e di lasciare sullo sfondo gli infetti, relegandoli a sparuti spauracchi disseminati nelle sterminate e insidiose campagne scozzesi e bandendo qualsiasi scena di attacco di massa tipica del genere, contiene un suo fascino disturbante. Merito della caratterizzazione di April, ragazza alienata e alienante, capace di tenere lo spettatore costantemente sulla graticola dell’inquietante, e di una telecamera costantemente nervosa e fuori asse.
Se i mezzi espressivi, pur in un contesto povero e da principiante, sono comunque efficaci, lo è meno il resto del comparto: la fotografia del digitale è inguardabile nelle scene notturne (ossia la maggior parte del film); il livello recitativo è ben di sotto al livello di norma anche per colpa dell’uso di volti esordienti e sconosciuti, eccezion fatta per la bellezza vivida di Vivienne Harvey, rispuntata dal nulla dopo l’esordio di Nine Lives; la sceneggiatura è debole e inserisce dei flashback a casaccio, senza una vera motivazione, all’interno della storia. Ma il fascino della Scozia profonda, teatro della solitudine di due anime in pena che impareranno insieme a convivere con i propri sensi di colpa, rimane intatto e perdurante anche dopo la visione.