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The Daisy Chain

2008
Titolo Originale:
The Daisy Chain
REGIA:
Aisling Walsh
CAST:
Samantha Morton (Martha Conroy )
Mackintosh (Tomas Conroy)
Mhairi Anderson (Daisy Gahan)

Il nostro giudizio

Thriller inglese firmato nel 2008 da Aisling Walsh e inedito in Italia. Il film The Daisy Chain sfrutta la classica figura del bambino malvagio tessendo un gioco di equilibrio tra realtà e credenza popolare, tra ragione e superstizione.

Una bambina a spaventare un intero villaggio? Non è certo una novità. Tematica banale, vista e rivista, esibita in ogni sua sfaccettatura. Sfruttare l’innocente e immacolata figura di un bambino in un film horror o in un thriller è ormai una certezza. A partire da film come Il Villaggio dei dannati di Wolf Rilla del 1960 passando per L’esorcista, OmenThe UnbornL’innocenza del diavolo fino al recentissimo The Orphan, bambini malvagi, indemoniati e feroci assassini hanno popolato il grande schermo. Non è questa la sede per discutere sul perché i bambini siano una fonte di terrore assicurato, basti pensare che nulla più di loro può scatenare un efficace “perturbante”, sensazione che prende vita dall’incontro-scontro tra familiare e spaventoso. La paura cresce quanto più a generarla è ciò che ci è noto, ciò che al contrario dovrebbe essere fonte di certezze e tranquillità.

Proprio su questo contrasto si muove un film come The Daisy Chain, dove dietro la candida e indifesa apparenza di una bambina bisognosa d’affetto si nasconde un mondo oscuro fuori controllo.
Daisy non sorride, al massimo accenna un ghigno a labbra strette. Daisy ha lo sguardo fisso e vuoto ma a volte un’inquietante scintilla lo illumina. Daisy non parla e una delle poche frasi che pronuncia è “gioca con me”, a cadenza regolare, insistente, ossessiva. Non è semplice autismo, in lei abita il male.
Walsh tenta scongiurare la banalità che potrebbe scaturire da una tematica ormai trita e ritrita, giocando con il mito. Sfruttando le atmosfere rurali e i paesaggi irlandesi mozzafiato, crea il giusto contesto per ambientare una storia dove le superstizioni hanno la meglio sulla ragione. Nonostante l’amore ossessivo di una madre pronta a qualsiasi cosa per proteggerla e difenderla fino mettere a rischio la sua stessa vita, Daisy non sfugge all’odio degli abitanti del paese che la credono la responsabile delle tragedie che giornalmente si abbattono sul piccolo villaggio. L’accusa è quella di essere una changeling fair, una fata malvagia che, secondo una leggenda irlandese, si sostituisce ai neonati morti ancora in fasce. E’ vero che ogni volta che succede qualcosa la piccola Daisy è nei paraggi, ma non esiste un solo momento in cui si veda effettivamente la bambina agire e compiere il male, mai abbiamo la prova che realmente sia lei la responsabile degli eventi, tutto rimane supposto, sempre in bilico tra la realtà e la credenza popolare, tra l’essere colpevole e l’essere vittima.
Walsh, cercando di giocarsela con le sensazioni, confeziona un buon thriller che gli vale due nomination ai British Independent Film Award. I presupposti ci sono tutti, l’idea è buona, l’atmosfera è inquietante da subito, il vento, lo strano vicino di casa, il mare che si infrange contro le pareti di un dirupo… Tutto è puntato sul mettere a disagio lo spettatore, ma qualcosa non funziona fino in fondo. Qualcosa manca, non basta lo scenario desolato della campagna irlandese o la buona interpretazione degli attori per alimentare un crescendo emotivo che tarda ad arrivare. Si gioca troppo sulle atmosfere sacrificando tensione e azione. Solo nel finale l’appiattimento si risolleva, ma fino ad allora la visione procede a singhiozzi, sperando e attendendo invano di scongiurare la noia. E nonostante ci si sforzi a un commento e a una visione “adulta” del film, ci si vorrebbe abbandonare al bambino che è in noi e lasciarsi andare a un banale: “non succede mai niente”.