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Cry Macho – Ritorno a casa

2021
Titolo Originale:
Cry Macho
REGIA:
Clint Eastwood
CAST:
Clint Eastwood (Mike Milo)
Eduardo Minett (Rafo Polk)
Natalia Traven (Marta)

Il nostro giudizio

Cry Macho – Ritorno a casa è un film del 2021, diretto da Clint Eastwood.

Lungi dal conoscere limiti di età, il novantunenne Clint Eastwood – forse l’ultimo mito vivente e in attività del cinema americano classico – prosegue indomito la sua attività davanti e dietro la macchina da presa. Per nostra fortuna, viene da dire, perché non esiste una sua opera che non sia in grado di mettere d’accordo critica e pubblico in un giudizio positivo abbastanza unanime: quando fa il regista, quando fa l’attore e quando ricopre entrambi i ruoli, come nella sua ultima fatica, quel Cry Macho che sta già riscuotendo tante impressioni positive, e che sarà distribuito il 2 dicembre nelle sale italiane. Eastwood ci aveva lasciati con il thriller storico-biografico Richard Jewell (un nuovo tassello della sua epica sui moderni eroi americani), e ora tocca le nostre corde emotive con un film a metà fra il dramma sentimentale e il western moderno – il che ci riporta a quella che è la sua dimensione più riuscita, cioè la mitologia (e al contempo anti-mitologia) della Frontiera. Il western, fin dalla Trilogia del Dollaro di Sergio Leone, e proseguendo con film come Lo straniero senza nome fino al gigantesco Gli spietati – cioè il de profundis del genere come eravamo abituati a concepirlo – è infatti il filone per eccellenza del Nostro (insieme al poliziesco e al war-movie), un filone che in Cry Macho viene fuso armoniosamente con il dramma di formazione. Negli ultimi anni la sua presenza davanti alla macchina da presa si è un po’ diradata, con alcune eccezioni come il capolavoro Gran Torino (2008) e il più trascurabile (ammesso che esistano degli Eastwood trascurabili) Il corriere (2018), ed è proprio con Gran Torino che Cry Macho sembra voler riannodare alcuni fili narrativi essenziali, in grado di avvicinare due film così distanti. La gestazione del film è lunga e travagliata: risale addirittura all’omonimo romanzo di N. Richard Nash del 1975, che vari registi tentarono invano di trasporre sul grande schermo, fino all’entrata in scena di Eastwood (anche produttore), il quale lo ha diretto sulla base della sceneggiatura originale di Nash (morto nel 2000), scritta insieme a Nick Schenk.

La vicenda si svolge nel 1980 e ha come protagonista Mike Milo (Clint Eastwood), un tempo star del rodeo e allevatore di cavalli, che viene contattato nuovamente dall’ex datore di lavoro per un incarico particolarmente delicato: recarsi in Messico da suo figlio Rafo, che vive con la madre ed è oggetto di soprusi da parte di vari sgherri locali, e riportarlo da lui. Milo, legato all’uomo da vecchi debiti di riconoscenza, non può sottrarsi alla sgradita missione, e a bordo della sua Chevrolet supera il confine fino ad arrivare da Leta, la madre del ragazzo, la quale però si rifiuta di farlo partire. Rafo (Eduardo Minett), che vive di piccoli furti e scommette sulle gare clandestine di lotte fra galli, inizialmente è ostile al vecchio, ma pur di scappare da quel sordido ambiente decide di fuggire con lui, portando con sé il suo affezionato gallo chiamato Macho. Inseguiti dagli scagnozzi di Leta, i due iniziano insieme un lungo viaggio, durante il quale avranno modo di conoscersi e rispettarsi, fra personaggi e avventure di vario tipo, fino a riportare il ragazzo da suo padre. Cry Macho vive di due anime inestricabili: da una parte è un western moderno (o sarebbe meglio dire post-moderno) che guarda con malinconia al mito ormai quasi estinto della Frontiera, mentre dall’altra è un dramma di formazione ricco di pathos e sentimenti, che segue l’incontro-scontro fra un uomo anziano e un ragazzo di strada. La storia ha la struttura inconfondibile del road-movie, come spesso accade nelle regie di Eastwood, dal classico Il texano dagli occhi di ghiaccio al commovente Un mondo perfetto – per certi versi simile a questo, con il viaggio di Kevin Costner insieme a un bambino – fino a Il corriere, e si snoda nei paesaggi sconfinati e semi-desertici degli Stati Uniti e del Messico, valorizzati da un’eccelsa fotografia vintage. Con Gran Torino invece (non a caso, sceneggiato ancora da Nick Schenk) ha in comune lo scontro iniziale, poi destinato a trasformarsi in amicizia, fra un uomo anziano e schivo e un ragazzino di un’altra etnia, che in entrambi i film il personaggio di Eastwood difende dalle angherie dei criminali.

Alcune scene sono dirette inconfondibilmente con un gusto western: l’inizio con le fotografie di Milo che domava i cavalli al rodeo, le inquadrature elegiache dell’ombra di Eastwood (che lungo tutto il film non molla mai il cappello e gli abiti da cowboy) sullo sfondo di un tramonto, la sequenza dove il protagonista viaggia a bordo della sua Chevrolet col sottofondo di note country (poi ricorrenti), ma anche tutta un’ampia macro-sezione centrale avente come protagonista Marta, una donna che vive con le nipotine e che si invaghisce di Eastwood. Con la donna, il vecchio cowboy sembra iniziare una storia d’amore (forse impossibile o forse no, come ci lascia intendere il finale), mentre torna ad occuparsi di cavalli e insegna l’equitazione a Rafo, come se volesse passargli il testimone del suo vecchio mestiere. Eastwood, a novant’anni suonati, non smette di cavalcare e di condurre la vita del cowboy, sempre in viaggio in un immenso West, né tantomeno si fa problemi a tirare un cazzotto a uno sgherro di Leta, o a minacciarlo con una pistola, oppure a correre in auto. Cry Macho non è un film d’azione, nonostante in alcuni momenti sembri sul punto di sfociare nel western più duro e puro, ma vive di una palpitazione emotiva continua, sia negli scontri con gli inseguitori, sia soprattutto nel rapporto con Rafo: i due sono differenti per nazionalità (un “gringo” e un messicano), per età, per stile di vita, eppure il giovane è sensibile ai miti del West come il ranch e i cavalli, per cui il navigato cowboy fa pressione su questo al fine di stringere amicizia con lui, toglierlo dalla strada e riportarlo dal padre, mentre emergono vari retroscena tanto su Mike quanto sul genitore. Fondamentale è poi il tema del vecchio re del rodeo, costretto ad abbandonare l’attività, che conosce una sorta di seconda giovinezza grazie a questa inaspettata avventura: il “Macho” del titolo è inizialmente il nome del gallo di Rafo, ma poco alla volta diventa anche un aggettivo per il cowboy; un duro che però, come dice il titolo, “piange” (in fondo, siamo in epoca moderna), ma che non può snaturarsi. Perché, come diceva Steve McQueen ne L’ultimo buscadero di Sam Peckinpah, “Qualcuno deve pur tenere fermi i cavalli”.