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Cobweb

2023
REGIA:
Samuel Bodin
CAST:
Lizzy Caplan (Carol)
Antony Starr (Mark)
Cleopatra Coleman (Miss Devine)

Il nostro giudizio

Cobweb è un film del 2023, diretto da Samuel Bodin.

Domandina a bruciapelo: per quale motivo oggigiorno far paura è diventato così difficile? Sarà forse a causa dell’eccessiva esposizione mediatica alla quale siamo tutti continuamente sottoposti, fra telegiornali sempre più simili a veri e propri bollettini di guerra, mattanze terroristiche in live streaming e oscure sorprese ben celate nell’insidioso dark web. Oppure, molto più semplicemente, tutto dipende dal fatto che l’horror, in quanto genere nudo e puro, ha cessato ormai da qualche tempo di esistere, tramutandosi piuttosto in un “filtro” attraverso cui schiaffare qualcosa di ben più complesso di sangue, frattaglie e mostracchioni in agguato sotto ai letti. Un orrore decisamente più di testa che di pancia, insomma, germogliato all’ombra di quella sprezzante Generazione Z per la quale gentaglia come Freddy Krueger, Jason Voorhees e il buon Pinhead non possono che apparire, ai loro spippolanti e altezzosi occhietti, alquanto démodé. E non vi è alcun dubbio che, più nel bene che nel male a dirla tutta, un film come Cobweb risulti inevitabilmente fuori dal tempo e, in un certo qual modo, pure fuori tempo massimo; non tanto per la sua voglia di giocare sul pericoloso e tagliente filo degli archetipi – i più cattivoni preferiranno chiamarli cliché -, quanto piuttosto per la sua straordinaria capacità d’incutere una sana, genuina e fottutissima paura. Una paura d’altri tempi, non c’è che dire, di quando, per l’appunto, i beneamati filmacci de paura non volevano far passare a forza (e per forza) subliminali messaggi politici o schierasi pro o contro il dato gruppetto etnico o minoranza offesa, preferendo piuttosto arrivare spensieratamente al nocciolo dell’orrorifca questione evocando quei semplici e onesti brividi che ogni affamato cinefilo, per quanto snob o di palato fino, da sempre brama.

Stavolta ad aver paura non è certo l’ipocondriaco Beau partorito dalla surreale fantasia di Ari Aster, quanto piuttosto il giovanissimo Peter (Woody Norman) messo in scena dal buon Samuel Bodin: un ragazzino fragile, solitario, ferocemente bullizzato e prigioniero delle maniacali cure di due genitori (Lizzy Caplan e Antony Strarr) che, dietro al loro opprimente affetto e al tassativo divieto di racimolare dolciumi di Halloween nello stesso quartiere in cui una pischellina fece misteriosamente perdere le sue imberbi tracce, paiono nascondere qualcosa di losco. Ma il profondo disagio del nostro piccolo protagonista – subodorato lontano un miglio dalla nuova scaltra supplente Miss Devine (Cleopatra Coleman) – non potrà che trasmutarsi in autentico terrore notturno quando, insieme a strani rumori e inquietanti incubi d’ordinanza, una raggelante vocina inizierà a far capolino da dietro una crepa nel muro della solitaria e lugubre cameretta. Una voce da un altro luogo piuttosto che da un altro mondo, la quale accompagnerà il tutt’altro che dolce sonno del terrorizzato fanciullo con disperate richieste di aiuto e la scioccante affermazione di essere nientemeno che la sua mai conosciuta né nominata sorellina Sarah, rinchiusa tempo addietro da quegli stessi Mamma e Papà che paiono ormai sempre più intenzionati a replicare il macabro copione anche con quello che, alla luce dei fatti, parrebbe essere non più il loro primo ma bensì secondogenito. I panni sporchi, dunque, tocca sempre e comunque lavarseli in famiglia; almeno stando a quanto il cinema de paura dell’ultima decade pare averci voluto opportunamente insegnare a forza di pellicole che, come lo svedese The Other Side, il misconosciuto Dreamkatcher e il sorprendente Son di Ivan Kavanagh, sprangata la porta e serrate le imposte hanno permesso al Male di scatenarsi fra e sopratutto dietro le quattro mura di quell’accogliente alcova nella quale ogni sera, al ritorno dalle quotidiane occupazioni, siamo soliti appende borsetta, zaino e cappello.

Ed è appunto un subdolo, strisciante e aracnideo Male quello che Cobweb sembra celare nelle viscere di ogni sua inquadratura e fra le righe di una recitazione via via sempre più tesa quanto le dissonanti corde di un violino ammuffito, non facendosi alcun cruccio nel ricorrere a qualche furbo jumpscare di troppo così come anche a certi archetipi – o cliché, fate un po’ voi – da manuale per rendere ciascuno dei suoi novanta minutini un incubotico mistero da disvelare, strato dopo strato, con ansiogena e crescente sete. Ma è proprio quando i nodi della ragnatela intessuta sin dal titolo dalla sceneggiatura di Chris Thomas Devlin vengono finalmente al pettine che l’opera rivela tutte le proprie occulte e profondissime crepe; laddove, al posto di seguire l’esempio dell’ormai scafato Shyamalan nel prendere saldamente posizione e chiudere il cerchio una volta per sempre, l’esordiente Bodin preferisce seguire la moda ormai imperante dell’horror 3.0 nel lasciare aperto – anzi, decisamente spalancato – il (sovra)naturale succo del discorso, ingarbugliando inutilmente l’insettivora matassa senza dare modo allo spettatore di comprendere chiaramente la reale natura di quel sopracitato Male che, per quasi una buona oretta e mezza, ci ha genuinamente tenuti col fiato sospeso e con pure qualche sano brividozzo a correre lungo la schiena. Certo, il canto del cigno – per non dire del ragno – aveva già iniziato a suonare ben prima dell’ultimo quarto d’ora, scandito da alcune stucchevoli trovatelle da nerocrinito J-Horror da fondo di magazzino e disarticolate membra intente a scimmiottare gran parte della cinematografica stirpe post The Ring, nonostante qualche gustosa spruzzatina di truculenza assai cattivella e un congedo finale realmente da pelle d’oca avessero fatto per un attimo sperare che la ciambella, per quanto riscaldata e non certo d’impeccabile fattura, stavolta potesse realmente riuscire con un bel buco. Ancor meglio se nero, ovviamente.