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The children

2008
Titolo Originale:
The children
REGIA:
Tom Shankland
CAST:
Eva Birthistle
Raffiella Brooks
Stephen Campbell Moore

Il nostro giudizio

Dopo Triangle, Tom Shankland torna con  The children, un horror che racconta di un’infernale vacanza di Natale, in cui un gruppo di bambini indemoniati si ribellano ai genitori.

Sarà mica arrivato il momento di allargare la grande famiglia dei mostri cinematografici, degnamente composta da vampiri, zombi, lupi mannari e demoni, con l’ingresso dei bambini? Già da tempo sono diventati i rappresentanti di un efficace sottogenere dell’horror, da Come si può uccidere un bambino di Serrador a Grano rosso sangue (originale e remake), passando per Omen – Il presagio (idem).Proprio nell’amara constatazione contenuta nel titolo del cult spagnolo risiede l’arma principale della progenie malefica (è proprio il caso di dirlo): la difficoltà morale, genetica ed etica da parte dell’adulto di poter infliggere del male al simbolo più puro dell’innocenza. Nella religione cristiana, ad esempio, in cui uno dei miti più diffusi è proprio la strage degli innocenti che Erode ordinò, credendo che tra loro ci fosse colui che l’avrebbe spodestato, l’uccisione dei bambini viene particolarmente biasimata.

Come in altri film e più che in altri film, la causa della rivolta generazionale è lasciata fuori campo: probabilmente un virus, che si manifesta inizialmente con conati di vomito, disturbi e visioni violente per poi sfociare nell’aggressività nei confronti degli adulti e nella formazione di un pensiero comune che permette ai bambini di organizzare attacchi complessi (non a caso molti degli incidenti vengono rappresentati con un uso massiccio del montaggio alternato per raccontare linguisticamente il “lavoro di squadra” dei piccoli assassini) con un tasso abbastanza alto di crudeltà, talvolta suggerita (ma con grande efficacia), talvolta mostrata.

Al suo secondo film, Tom Shankland riesce a cogliere il segno, dopo un The Killing Gene non entusiasmante: The Children è l’horror britannico nelle sue vette più alte, che lontano da ogni rigurgito umoristico punta maggiormente sulle dinamiche familiari per accentuare la drammaticità dei conflitti che prima di essere generazionali (la figlia ribelle) sono soprattutto interpersonali (le sorelle che cercano di ritrovarsi) e non rinuncia a qualche sequenza splatter di grande effetto: l’occhio trafitto da una matita e il bambolotto impiantato, come il mostriciattolo di Alien, nello stomaco del padre oltre ad accentuare l’intento esploitativo del film, al di qua dei limiti del torture ma perfettamente efficace per contrasto con l’ambiente circostante televisivamente ovattato e ammantato dal bianco candido della neve, sottolineano il sottile sottotesto allegorico che permea la rivolta dei bambini. Gli adulti sono colpevoli in quanto procreatori (a prescindere dalla differenza di sesso) e padroni potenziali (quindi minaccia) del destino dei bambini: la ragazza adolescente, interpretata dagli occhi seducenti e ribelli di Hannah Tointon, si tatua un feto sulla pancia per ricordare che lei è scampata a un aborto che i genitori volevano e in più occasioni viene posta in evidenza la funzione, da parte dei genitori, di mettere in riga ogni comportamento scorretto dei bambini (puntando il dito contro chi non è capace di essere una buona madre o un buon padre). La rivolta assume quindi le dimensioni di una ribellione nei confronti del divino e nel prevedibile, ma inquietante finale, allarga i propri confini spaziali.