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Child 44

2015
Titolo Originale:
Child 44
REGIA:
Daniel Espinosa
CAST:
Tom Hardy (Leo Demidov)
Noomi Rapace (Raisa Demidov)
Gary Oldman (Generale Mikhail Nesterov)

Il nostro giudizio

Rullo di tamburi: Il bambino n. 44 è prima di tutto un romanzo di Tom Rob Smith (edito in Italia per Sperling & Kupfer) acclamato da pubblico e critica, divenuto poi un film con una co-produzione griffata Ridley Scott, un cast all-stars, con la riproposizione dell’azzeccata coppia Hardy-Rapace (Chi è senza colpa), nonché un paio di vecchi lupi di mare quali Gary Oldman e Vincent Cassel. Squilli di fanfare: la Russia che si indigna per come viene trattata la nazione nella pellicola, la violenza dei metodi repressivi della polizia sovietica, l’indottrinamento morale e politico dei cittadini, il “mostro mangiatore di bambini” (il famigerato “killer di Rostov” trasposto in epoca antecedente) che agisce nell’ombra delle stazioni ferroviarie innevate, inserendosi come variabile impazzita nelle crepe di un sistema apparentemente monolitico e tetragono. Indubbiamente, tutte gran belle premesse. Destinate a rimanere tali.

Il film diretto da Daniel Espinosa (Safe HouseNessuno è al sicuro) è una noia colossale: Russia, 1950, regime stalinista al vertice, di pari passo con la polizia segreta MGB (anticipatrice del noto KGB). Leo Dimidov (Hardy) è un integerrimo ex-eroe di guerra, ora ufficiae di polizia, che deve indagare sulle morti di ragazzini trovati svestiti nei pressi di binari ferroviari. Casualità? Incidenti? Leo, congiuntamente alle indagini sul caso, compie un percorso nelle reticenze del sistema, nella violenta follia di alcuni suoi rappresentanti (il rivale Vasili) e nel rapporto con la moglie Raisa (Rapace), sulle sue presunte trame cospirative ed extraconiugali. Leo, insomma, come nel più classico dei casi, diventa da predatore, preda. E se Cassel è un sovrintendente privo di scrupoli col solito sguardo mefistofelico, Oldman è un valido collaboratore alla ricerca della verità. Ok, ma il killer dov’è? Dopo un’ora e mezza di perlustrazioni, deportazioni, qualche esecuzione a sangue freddo, scaramucce tra i due piccioncini al freddo e al gelo, ecco Paddy Considine, impiegato in fabbrica lombrosianamente additabile come “fuori di testa”. Espinosa pare abbia lavorato con l’unico cruccio di rendere una confezione formalmente impeccabile: la fedelissima attinenza alla ricostruzione dell’epoca (sia costumi che mood) imbriglia però dinamiche ed evoluzioni del plot, ne inibisce una diversificazione necessaria, così come limita il potenziale attoriale. E la svolta thrilling dell’ultima parte si presenta come un “premio di consolazione” dopo cotante aspettative. Bello, anzi freddo, senz’anima.