Featured Image

Cartoline di morte

2020
Titolo Originale:
The Postcard Killings
REGIA:
Danis Tanović
CAST:
Jeffrey Dean Morgan (Jacob Kanon)
Famke Janssen (Valerie Kanon) Cush Jumbo

Il nostro giudizio

Cartoline di morte è un film del 2020, diretto da Danis Tanović.

La vita del detective newyorkese Jacob Kanon (Jeffrey Dean Morgan) è scossa dall’omicidio della figlia, il cui corpo viene ritrovato mutilato, in un abbraccio di morte, stretto al corpo dell’amante. La meticolosità dell’omicidio e la posa innaturale dei corpi sono sintomi inquietanti di un killer spietato e professionale. E presto altri delitti analoghi colpiscono le più importanti capitali d’Europa. A questo punto, il killer potrebbe essere ovunque. La trama segue due livelli di narrazione destinati a incrociarsi. Il primo è quello guidato dal detective Jacob Kanon, cliché del padre divorziato, americano e disilluso, alla disperata ricerca di giustizia per la figlia (ma in fondo di dignità per se stesso). Il secondo, più interessante e ricco di tensione, segue due giovani innamorati, Sylvia e Mac, nel loro viaggio per l’Europa, con gli imprevisti del caso. E, bisogna riconoscerlo, Cartoline di morte (The Postcard Killing) riesce ad ingannare sapientemente lo spettatore: con questo secondo piano del racconto, non solo crediamo di guardare dei flashback, ma di trovarci dal lato delle vittime.

Eppure, abbiamo doppiamente torto. Le vittime sono in realtà i carnefici. Il passato è il presente. E la soluzione dell’enigma è abbastanza folle da affascinare. L’idea, in fondo, è quella che muove Matt Dillon in La casa di Jack: “L’artista deve essere pronto a sacrificare tutto. Persino la vita stessa.” Ma questo adattamento del romanzo di Liza Marklund e James Patterson non si muove certo nei territori abituali di Lars von Trier, sia per mancanza di intellettualismi che di qualsiasi provocazione. I pochi dettagli eccessivi sono qui di natura post-mortem: labbra recise, occhi senza vita appesi con fili di ferro, orecchie cucite sulla schiena di un innamorato come ali di un macabro Amore e Psiche, a metà strada tra Canova e Mary Shelley. Ma ad ora di cena va in onda di peggio, e i montaggi forzatamente confusionari, con i ralenti affaticati, le immagini sdoppiate e la messa a fuoco casuale, ricordano i flashback di CSI.

I tempi della sceneggiatura classica sono qui ben rispettati, i tre atti, il punto intermedio, è tutto in regola. Eppure, qualcosa non torna: intere parti dell’ingranaggio non si muovono e rallentano il macchinario. Quello che Cartoline di morte non può certo offrire è un tocco personale, una qualsivoglia scelta stilistica che trasformi un gialletto da domenica pomeriggio in un racconto appassionante perché appassionato. L’idea consegnata allo spettatore è, invece, quella di un thriller che funziona senza eccellere, di un compito svolto dignitosamente, e cioè di un film commissionato a chi avrebbe voluto fare altro (il bosniaco Danis Tanović, Oscar al miglior film straniero per No Man’s Land). Certo, qualcosa è cambiato per questi crime da piccolo schermo. I budget si sono gonfiati (il protagonista gira per mezza Europa), la cura formale è adesso palpabile, ma la fruizione, per noi, è sempre la stessa: li mangiamo, li digeriamo e li caghiamo nell’arco della loro durata. E domani saremo già presi da altro.