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Camille Claudel 1915

2013
Titolo Originale:
Camille Claudel 1915
REGIA:
Bruno Dumont
CAST:
Juliette Binoche (Camille Claudel)
Jean-Luc Vincent (Paul Claudel)
Robert Leroy (Il Dottore)

Il nostro giudizio

Camille Claudel 1915 è un film del 2013, diretto da Bruno Dumont.

Camille Claudel 1915 racconta l’internamento psichiatrico della scultrice cinquantenne. Camille non si era mai ripresa dal suo legame passionale e dalla rottura con Rodin, sviluppando una mania di persecuzione e accusando lo scultore di avere provocato la sua decadenza, sprofondando nella follia.

Camille Claudel passerà gli ultimi 28 anni della sua vita tra malati molto più handicappati di lei. Solo suo fratello Paul le farà visita fino alla morte, dodici volte. Ma non farà niente per farla uscire. Il film di Dumont mostra l’incontro di due follie, quella nevrotica e paranoica di Camille e quella mistica di Paul Claudel. Scrittore borghese illuminato dalla scoperta di Rimbaud e di Dio, Paul è un personnaggio che affascina Dumont tanto quanto Camille, se non di più.

L’arrivo di Paul, bramato da Camille e lungamente differito dal regista, trascina il film in un’altra dimensione. Dumont ha sempre voluto firmare l’indicibile o l’invisibile. Ora, il cinema passa forzatamente attraverso l’incarnazione: qui filma la fede di un poeta inventando, in una scena geniale, qualcosa nell’ordine del sintomo fisico, dell’erezione muscolare che accompagna la preghiera e la scrittura. Difficile da raccontare, e in grado di scatenare un effetto annichilente, la scena mostra Claudel come un samurai della fede cristiana.

Juliette Binoche non solo ci fa dimenticare la vedette dietro il personaggio, ma anche il lavoro e il gioco, per non mostrarci che l’essere. Austero senza essere claustrofobico Camille Claudel 1915 sconvolge, al di là del destino di un’artista privata dei suoi diritti umani dalla propria famiglia, in ragione della messa in scena di Dumont, che accorda altrettanta attenzione alla sua eroina che agli altri occupanti del manicomio, interpretati da veri malati di mente.

Il regista li filma senza alcun compiacimento voyeuristico ma quasi con amore. Ed è la bellezza a scaturire da tanta innocenza, da queste maschere di sofferenza e di abbandono, come se questi uomini e donne fossero nella condizione più pura dell’umanità, così lontani e così vicini a noi. Essi esistono sullo schermo con tremenda intensità e grande emozione, semplicemente perché anche loro, come Juliette Binoche, sono.