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Cadaver

2020
Titolo Originale:
Kadaver
REGIA:
Jarand Herdal
CAST:
Gitte Witt (Leonora)
Thomas Gullestad (Jacob)
Thorbjørn Harr (Mathias)

Il nostro giudizio

Cadaver è un film del 2020, diretto da Jarand Herdal

Ci si dovrebbe fidare, ad un certo punto, dei segni premonitori. Probabilmente si potrebbe anche sviluppare un’efficacissima equazione da mettere sul mercato delle scienze esatte. Non perché si tratta di Netflix, provider che sta sempre più manifestando, anche nell’horror, la mirata strategia della differenziazione o del buttare l’amo un po’ ovunque; il teorema che le idee intriganti di partenza non portino poi a niente di buono nel complesso inizia ad essere valido universalmente. Cadaver, così come il precedente prodotto Il buco, pecca in questo: si presenta sotto le mentite spoglie dell’originalità ma emerge gradualmente nella sua effettiva inconsistenza. Horror fantapolitico norvegese diretto da Jarand Herdal, si dimostra tedioso e sfilacciato, con poco o niente di veramente innovativo da dire. Un problema che, per fortuna, è da ascrivere alla perspicacia e profondità di chi ha saputo, dapprima, prendere il tema e portarlo avanti senza eccessiva supponenza e scarsa analisi. Ma di cosa si parla e si vuole parlare, dunque? Siamo in un contesto post-disastro dove vivono, in totale povertà, Jacob e Leonora insieme alla figlioletta Alice. La fame li spingerà a comprare i biglietti per un misterioso spettacolo teatrale che si svolgerà in una villa.

L’acquisto, infatti, comprende anche l’opportunità di consumare, prima, un lauto pasto. Leonora, una volta attrice, è anche affascinata dalla possibilità di rivedere una pièce dopo tanta sofferenza. Una volta lì, tuttavia, le cose diventano molto bizzarre. Agli spettatori-consumatori viene data una maschera per potersi distinguere dagli attori che recitano il loro dramma per tutti i metri quadri della villa. Ovviamente dietro questo artistico escamotage vi è un segreto più spaventoso che, nella sua scontatezza, è a dir poco scadente. È intuibile, infatti, il rivelarsi, senza troppi indugi, dell’adagio sociale che dà a ricchi e poveri il ruolo che spetta ad ognuno. Non siamo ancora alla pecca vera e propria: quella arriva tutta nel nulla che segue. In primis nel ritmo, privo di tensione e di qualsivoglia focus sui personaggi. Ci si fa belli di una location incantevole e congelata dal tempo, tra stanze segrete e lunghe scalinate che sanno di antico, per far camminare lentamente i protagonisti tra un indizio e l’altro. E quando non c’è lentezza, allora tutto diventa sfuggevole, interrotto a metà. Ciò potrebbe cambiare nel momento in cui la verità viene fuori in tutta la sua crudezza, ma anche qui non si può che restare delusi.

 Si arriva infine alla rivelazione, se così si può chiamare, del cannibalismo sociale in cui “uomo mangia uomo”, ma sopratutto “ricco mangia povero”. In questa metafora filmica che, in Cadaver, si concretizza fino all’estremo, vi è il totale fallimento dell’operazione nel suo complesso. E, tanto per darsi la zappa sui piedi dopo averli già sbattuti reiterate volte nello spigolo, si decide addirittura di ridurre, di minimizzare in forma quasi apostatica lo spirito politico che sembrava albergare in cotanto racconto. Come se il potente, il padrone, sia un burattinaio onniscente e infallibile che non ha bisogno della collaborazione e dell’omertà di chi sta sotto nella scala sociale. Nel finale del film, tutto ciò assume i toni dell’irrealismo e del ridicolo, dando però un termine ad una storia che prometteva di portarti, mente e cuore, chissà dove. Di certe analisi sociali così incomplete e goffe ne sentiamo già abbastanza tutte le settimane nei talk show televisivi: quindi, pietà.