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Bronx

2020
REGIA:
Olivier Marchal
CAST:
Lannick Gautry (Vronski)
Jean Reno (Leonetti)
Gérard Lanvin (Maranzano)

Il nostro giudizio

Bronx è un film del 2020, diretto da Olivier Marchal.

Poco ma sicuro: Olivier Marchal è uno dei più grandi registi viventi di cinema poliziesco. Anzi, polar, nell’accezione originaria del termine, quale fusione di poliziesco e noir: poiché nei suoi film si incrociano sempre indissolubilmente i milieu criminali e una cruda rappresentazione della polizia, vista dall’interno. E Marchal lo fa con cognizione di causa, poiché prima di diventare un regista è stato poliziotto – “Ho filmato ciò che ho vissuto”, recitava la tagline del suo primo film Gangsters. Il suo è un cinema duro, spietato, senza compromessi, lontano dall’accomodante action americano: e il nuovo Bronx è il compimento di una filmografia in divenire, l’estremizzazione di un percorso coerente, portato avanti con 36 Quai des Orfevres e L’ultima missione – ritratti di poliziotti allo sbando – e poi con il suo romanzo criminale, Les Lyonnais. Distribuito da Netflix col titolo Rogue City, Bronx è l’opera di Marchal più complessa e ambiziosa, un film da vedere più volte affinché tutti i conti tornino: è una storia fittissima di personaggi, intrecci, ricatti e doppi giochi, dove nessuno è ciò che sembra, e dove polizia e malavita sono legate da un fil rouge inossidabile. Scritta dallo stesso Marchal e ispirata in parte, così sembra, a un fatto di cronaca del 1978, la vicenda si svolge a Marsiglia e ha inizio quando alcuni membri del clan Bastiani – una delle più importanti famiglie malavitose della città – compie una strage in un bar ai danni di una banda rivale. L’indagine è affidata al comandante Vronski (Lannick Gautry) della Brigata Anticrimine, con i suoi agenti Willy, Max e Zach, ma anche il corrotto maggiore Costa dell’Anti-Brigantaggio vuole parteciparvi. Nel frattempo, arriva un nuovo direttore della polizia, Leonetti (Jean Reno), con l’incarico di riportare l’ordine, ma la situazione precipita.

Vronski stringe infatti un accordo con il vecchio boss Maranzano (Gérard Lanvin) per incastrare i Bastiani, e con i suoi tre agenti organizza un commando per sottrarre alla famiglia una grossa partita di droga. La strage che ne deriva inasprisce la guerra tra gang e le lotte di potere nella polizia, poiché fra le vittime c’era anche un poliziotto infiltrato dalla Squadra Narcotici. Dire di più sulla trama è difficile, non tanto per evitare spoiler, ma perché la vicenda – scritta in modo minuzioso e diretta con polso d’acciaio – si inerpica in un dedalo di sotto-trame infinite e personaggi degni di un romanzo. Marchal doveva averne viste di cotte e di crude, quando era in servizio, poiché la polizia messa in scena nel suo universo filmico – e in Bronx ancora di più – è corrotta e marcia fino all’osso, oltre che fortemente spaccata al suo interno, con le varie Brigate in perenne rivalità. È un tipo di cinema che richiama per certi versi la lezione di Sidney Lumet, autore di pellicole seminali come Serpico, Il principe della città e Terzo grado, e che oggi si fa sempre più raramente: perché di film con poliziotti corrotti ce ne sono a bizzeffe, ma film che analizzano così lucidamente e realisticamente il marciume dietro le divise non sono affatto comuni. Accade perciò che il maggiore Costa, presumibilmente legato al clan Bastiani, uccida un detenuto per evitare che parli, salvo poi vedersi minacciato insieme alla moglie dalla banda rivale.

Buoni e cattivi non esistono nel cinema di Marchal. Anche Vronski e i suoi, per i quali ci sarebbe la tentazione di parteggiare, prima stringono alleanza con un boss, poi agiscono come gangster in piena regola sottraendo il bottino alla gang. Lo stesso Vronski viene a patti con il capo dei Bastiani – un’austera Claudia Cardinale – che indica come unica differenza fra loro due il distintivo, e anche il severo Leonetti è sul loro libro-paga. Marchal non ha soltanto l’occhio acuto, bensì anche la mano solida e uno stile ricercato, ma mai fine a se stesso: perché l’azione non basta teorizzarla, bisogna saperla dirigere, e il Nostro lo sa fare come pochi altri registi oggi, supportato sempre da un ottimo montaggio. Pensiamo alla sparatoria che dà il via al tutto, dove i mitra e le pistole tuonano in modo forsennato, per poi far calare il silenzio e lasciare spazio soltanto alle immagini, o allo scontro a fuoco sulla spiaggia di notte, con il buio illuminato dagli spari. Seguono altre sparatorie ed esecuzioni a sangue freddo, ma il culmine viene raggiunto probabilmente nel finale, volutamente ambiguo: le esecuzioni in sequenza di derivazione padrinesca, sulle note a contrasto di una ballata melodica francese, non risparmiano nessuno – chi viene crivellato a revolverate, chi annegato, chi accoltellato, chi fatto esplodere in auto. Come sempre, ogni lieto fine è bandito. E in Bronx Marchal riconferma anche un altro tratto peculiare del suo cinema: affiancare nomi celebri ad altri meno famosi, ma tutti con i volti giusti, da sbirri e da carogne. Che, nel suo cinema, non fa poi tanta differenza.