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Brimstone

2016
Titolo Originale:
Brimstone
REGIA:
Martin Koolhoven
CAST:
Guy Pearce (Reverendo)
Dakota Fanning (Liz)
Emilia Jones (Joanna)

Il nostro giudizio

Brimstone è un film del 2016, diretto da Martin Koolhoven.

Si era già parlato, con il recente Never Grow Old, di una nuova scuola western – il Vecchio Continente che rilegge il Nuovo in chiave anti-epica: una serie di pellicole caratterizzate da atmosfere gotiche e violenza esasperata che trova in questo film la sua espressione più compiuta ed estrema. Diretto da Martin Koolhoven e frutto di una co-produzione fra l’Olanda (patria del regista) e altri Paesi europei, è un’autentica fusione fra western, thriller, horror e dramma, un film titanico sia nelle intenzioni, sia nella realizzazione e nella durata – quasi due ore e mezza, che scorrono però senza un attimo di tregua. Non si tratta di un’opera semplice, non è un qualsiasi western dalle venature orrorifiche come fa tendenza oggi (pensiamo, giusto per fare un esempio, al suggestivo Bone Tomahawk): non è neanche strettamente un western, per lo meno non nella sua concezione abituale come storia di banditi e sceriffi, indiani e cowboy, anche se l’epoca e l’ambientazione diegetica sono quelle tipiche del genere. Brimstone è la storia di un’ossessione e di una persecuzione, un racconto intriso di (anti)fanatismo religioso e follia, peccato ed espiazione, violenza e vendetta: vero e proprio film d’autore, squisitamente personale (Koolhoven è anche autore dello script), possiede connotazioni persino vontrieriane – vedasi la suddivisione in quattro capitoli dai titoli biblici. Protagonista è la giovane levatrice Liz (Dakota Fanning), una ragazza muta per una menomazione alla lingua, che vive col marito Eli e i figli nella loro fattoria: la sua esistenza è sconvolta dall’arrivo del nuovo Reverendo (Guy Pearce), che sembra conoscerla bene e inizia a perseguitare lei e la famiglia fino a uccidere Eli, mentre la donna fugge coi bambini. Ma chi è il misterioso e inquietante Reverendo che dà la caccia alla ragazza fin da piccola? Perché lui e Liz si conoscono così profondamente e lei ne è terrorizzata?

Le risposte arriveranno nel corso della storia, che sfocia nella vendetta della donna verso il suo persecutore. Lo spettatore è condotto poco alla volta, grazie a una sceneggiatura perfetta e a una regia solida, alla rivelazione della verità, tramite il disvelamento progressivo delle identità di Liz e del Reverendo: Brimstone è un film violentissimo, sanguinario e disperato, sia nel visto sia nel suggerito, un percorso infernale (“brimstone” significa zolfo) nel cuore di tenebra dell’essere umano. Se “Revelation” è la prima parte, dove sono narrati i fatti nel presente, i successivi due capitoli, “Exodus” e “Genesis”, raccontano ciò che è accaduto attraverso una narrazione retrograda che tanto ricorda quella utilizzata da Gaspar Noé in Irréversible, anche se più dilatata temporalmente; torniamo infine all’oggi col capitolo conclusivo, “Retribution”, dedicato alla vendetta (con una struttura quasi da rape & revenge). Ciascun segmento inizia ex abrupto, senza preamboli, entrando direttamente nel cuore della narrazione, in modo crudo e senza edulcorazioni. Con l’inizio della vicenda, sembra che la sofferenza entri all’improvviso nella vita della protagonista (un’intensa ed espressiva Fanning, che recita muta per quasi tutto il tempo), però man mano scopriamo che tutta la sua vita è stata segnata dalla sofferenza. In “Exodus” vediamo Liz da ragazzina (Emilia Jones) venduta come prostituta nel saloon Frank’s Inferno, abituatasi alla nuova e squallida vita fra amplessi, sessioni BDSM ante litteram, omicidi e mutilazioni, è raggiunta nuovamente dal Reverendo.

Lui è suo padre, è il Male, la causa della sua sofferenza fin dall’infanzia (Genesis), cioè quando la violentò e ne provocò la fuga. Grazie a una sorta di illusione cinematografica, la regia di Koolhoven risulta crudele ai limiti del tollerabile anche nelle scene soltanto suggerite, in primis lo stupro sulla figlia – vediamo solo il sangue sul letto, ma è un pugno nello stomaco come se ci fosse stato mostrato tutto. La violenza fisica e psicologica e la follia sono la componente essenziale in Brimstone, dove il sinistro Reverendo – un grandissimo Pearce, imponente, nerovestito, con una barba ispida e una cicatrice sulla guancia – impartisce una visione personale e distorta della Bibbia, spingendosi oltre il fanatismo per trasformare la religione in un orrore immanente. Impiccagioni, stupri, frustate, corpi sventrati e omicidi si susseguono senza sosta: ma la crudeltà non è mai gratuita, bensì sempre finalizzata a una rappresentazione del Male che riesce a mettere a disagio lo spettatore. Eppure lo stile è estremamente raffinato, con paesaggi dalla fotografia pastellata, poderosi vocalizzi come accompagnamento musicale e persino elementi espressionisti: il lampo che squarcia il volto del Reverendo (riecheggia un po’ un altro demoniaco pastore del cinema, il Robert Mitchum de La morte corre sul fiume), la notte abbagliata dalle fiamme di fronte a Pearce, le stesse fiamme che lo avvolgeranno alla fine per una sorta di contrappasso infernale.