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Brigsby Bear

2017
Titolo Originale:
Brigsby Bear
REGIA:
Dave McCary
CAST:
Kyle Mooney (James)
Mark Hamill (Ted)
Greg Kinnear (detective Vogel)

Il nostro giudizio

Brigsby Bear è un film del 2017, diretto da Dave McCary.

Per quelli della nostra generazione, cresciuti a pane e tubo catodico, la serialità su piccolo schermo ha certamente rappresentato l’ingrediente fondamentale della sostanziosa e variegata dieta mediatica mediante la quale siamo stati opportunamente nutriti e svezzati. Ciascuno di noi, infatti, sarebbe tranquillamente in grado di citare almeno una serie che, in un modo o nell’altro, ha saputo accompagnarlo per mano (e per occhi) durante gli anni più felici e spensierati della propria gioventù, fedele compagna di avventure immaginarie capace di allietare, col solo potere della fantasia, grigie mattinate e afosi pomeriggi lontani dai banchi di scuola. Quale shock sarebbe, dunque, se, da un momento all’altro, scoprissimo non solo di essere stati gli unici spettatori del nostro beniamino televisivo, ma che, addirittura, quest’ultimo altro non è stato che il parto malato di coloro che ci hanno rapito e segregato fin dalla più giovane età, spacciandosi nientemeno che per i nostri genitori. Ed è esattamente ciò che accade a James (Kyle Mooney), l’ingenuo e trasognato ventiseienne protagonista di Brigsby Bear, sottratto ancora in fasce alla propria famiglia da una stramba coppia di professori universitari (Jane Adams e, udite udite, l’immenso Mark Hamill) e cresciuto in un bunker sotterraneo, con lo spauracchio di un’inesistente inquinamento ambientale e con l’unica compagnia di una serie televisiva avente come protagonista l’orso spaziale Brigsby, il tutto appositamente creato dagli stessi genitori sequestratori. Dopo essere stato liberato dalla prigionia per ricongiungersi finalmente ai propri affetti, James deve tuttavia fare i conti con una realtà per lo più estranea, oltre a prendere coscienza della natura effimera dei propri sogni infantili.

L’ossessione per l’universo immaginifico di Brigsby si dimostra però talmente forte da spingere il giovane a pianificare un ambizioso progetto: realizzare nientemeno che un film dedicato alle avventure dell’orsetto intergalattico, grazie all’appoggio della sorella Aubrey (Ryan Simpkins), dell’amico videomaker Spencer (Jorge Lendeborg Jr.) e persino del detective Vogel (Greg Kinnear), artefice della sua liberazione. Raramente oggigiorno si ha la possibilità d’intercettare una pellicola capace di rimescolare continuamente le carte in tavola tanto quanto Brigsby Bear, caso più unico che raro di prodotto cinematografico dal forte sapore indie infarcito di un cast da pelle d’oca e supportato da una sceneggiatura tra le più solide e interessanti degli ultimi tempi. Per i primi dieci minuti si sarebbe tentati di gridare addirittura al capolavoro, grazia alla sapiente miscela tra perturbanti atmosfere da kidnapping movie – sul modello di 10 Cloverfield Lane e The Room – e immaginari educationl che richiamano alla mente le formule di televisione didattica di L’Albero Azzurro e Bear nella grande casa blu. Disvelato (forse un po’ troppo precocemente) il losco arcano, segue un’oretta abbondante durante la quale le cose cambiano decisamente, spingendoci a desiderare di prendere a testate in faccia quel pazzoide dietro alla macchina da presa che ha il nome di Dave McCary – scafato veterano della tele-serialità e presenza fissa, in coppia col fido Mooney, del Saturday Night Live –, responsabile di uno stucchevole eccesso di verve sentimental-goliardica (e parecchio cazzara) alla Linklater e di una sfilza impressionante di incongruenze che fanno apparire il “ritorno alla vita” del protagonista decisamente difficile da digerire.

Nonostante ciò, si respirano a pieni polmoni le zaffate grafico-surreali del Michel Gondry di Be Kind Rewind (l’epica strampalata di un cinema povero di mezzi ma ricchissimo di idee e passione) e dei Monty Python, impiegando una veste grafica solo apparentemente amatoriale ma, in verità, sottilmente colta ed elegante, la quale ci riporta dritti come un fuso ai mirabolanti universi di cartapesta del fu Georges Méliès. Ma ecco che, durante l’ultima mezz’oretta, calmati gli umori di pancia e riscaldati a dovere cuore e cerebro, il miracolo si compie e il film si rivela per quello che è: un sincero e spensierato inno, forse un po’ troppo idealistico, al potere della fantasia, un affettuoso invito a seguire i propri sogni e a non lasciare mai che il fanciullino pascoliano che c’è in noi appassisca miseramente a seguito del duro impatto con la vita adulta.Trionfalmente reduce – seppur a bocca asciutta – da ben tre importanti manifestazioni internazionali quali il Sundance Film Festival 2017, la Festa del Cinema di Roma 2017 e persino la Semaine de la Critique a Cannes 2017, Brigsby Bear mostra appieno quanto la leggerezza possa ancor oggi svolgere una funzione determinante nell’industria delle immagini in movimento, consacrando una volta per tutte il dramedy quale genere ibrido capace di evocare potenti emozioni, avendo soltanto un piccolo sorriso e una calda lacrima come ingredienti fondamentali.