Featured Image

Botte di Natale

1994
Titolo Originale:
Botte di Natale
REGIA:
Terence Hill
CAST:
Terence Hill (Travis)
Bud Spencer (Moses)
Boots Southerland (Sam Stone)

Il nostro giudizio

Botte di Natale è un film del 1994, diretto da Terence Hill

Facciamo chiarezza sulla genesi di Botte di Natale. Da più parti – anche nel Dizionario di Giusti – si scrive che era un vecchio progetto di Enzo Barboni e che ci doveva essere lui alla regia, finché Bud & Terence decisero autarchicamente di bastare a se stessi e se lo produssero e diressero. Dichiarazioni – riportate sempre da Giusti – di Barboni alludono a un cattiva riuscita dell’operazione per via di non meglio precisate interferenze della moglie di Terence, Lori Hill, che avrebbero portato il marito ad allontanarsi dal personaggio di Trinità, troppo invasivo e castrante per la sua carriera. Giusti mette nero su bianco che la sceneggiatura l’ha scritta, infatti, la moglie di Terence. Sarà. Ma lo script sui titoli di testa è accreditato al solo figlio di Terence, Jess, che è anche regista della seconda unità. Il nome di Ozgur Uzum alla sceneggiatura lo dà anche l’IMDB, ma come uncredited. Ma in fin dei conti, fu davvero quella Caporetto di cui si parla e si scrive? Sì e no. Nel 1995 Terence Hill ha 55 anni e Bud Spencer 65, ma il primo è ancora in una forma atletica invidiabile. Infatti, quando mena – un minimo di comprensibile rallentamento a parte –, ha ancora lo scatto di una volta. Regge anche benissimo i primi piani, non ha niente in faccia che gli caschi o gli si aggrinzisca. Bud ha i ben noti problemi di ptosi palpebrale, che però ormai sono entrati a far parte della sua immagine, del suo personaggio. A Bud il bianco degli occhi non si è mai visto, nemmeno quando aveva trent’anni. Ma è sempre colossale, imponente, un bufalo, e ben fa la costumista Vera Marzot a mettergli addosso una pelle bianca lanosa di pecora, che insieme alla bombetta gli dà un look originale e funzionante. Terence, invece, si veste col pastrano che aveva in Il mio nome è nessuno – non è un’illazione, lo dichiarava proprio lui.

dentro 1

La prima grande sorpresa del film è, comunque, scoprire che Bambino – che non si chiama così, ma Moses, perché il copyright dei nomi originali lo detenevano Barboni e Zingarelli che non furono di questa partita – si è sposato e ha figliato come un coniglio, mettendo al mondo dieci bambini tutti piccoli. Proprio lui che in tutti gli altri film aveva sempre visto negata la dimensione del sesso e dell’affettività con le donne. Terence, Trevis di nome, è invece il solito giramondo pazzerello, l’augusto della situazione, che svolazzando coglie fior da fiore. Fa il suo ingresso in una vecchissima situazione da western, liberando con un colpo di winchestern un bandito che sta per essere impiccato, di nome Sam Stone interpretato da certo Boots Southerlands, con una motivazione francamente bizzarra: affinché il bandito poi possa dovergli un favore. Bud invece è presentato che mangia i fagioli in padella al bordo di un deserto. Arriva un cattivaccio che porta sulla sella una ragazzina e Moses lo stende con una mazzata: l’effetto piccione o simili non è così pessimo, anche perché si è pensato bene di accentuare il sonoro sui pugni, compensando, in qualche modo, con l’intensità, la perdita di rapidità e di scatto. Il carrozzone della storia si muove in vista di un incontro che avverrà la notte di Natale – sui titoli italiani esce la scritta Notte di Natale che poi cambia in Botte – tra i fratelloni, la loro anziana madre, tutta quanta la famiglia di Moses e un’orda di bravacci che hanno rincorso Bud & Terence e li raggiungono in tempo per santificare la festa con una tonitruante scazzottata. In realtà, tutto è molto più lambiccato e strano.

dentro 2

Il problema – a parte la colonna sonora, orripilante, di Pino Donaggio – è il colore, la vernice, l’intonaco del film, che sembra quello della corsia di un ospedale povero in un’alba invernale di pioggia. Scenografie tristi e tristi facce di stuntmen e figuranti americani che evidentemente Terence si era portato dietro dai Luky Luke. La diagnosi classica è che Botte di natale non funziona perché propone un modo di vedere le cose da Comunione e Liberazione, da Azione cattolica, e pare affetto da quello che gli esperti del ramo chiamano la sindrome di Polyanna. Il mondo è rose e fiori, tutti si vogliono bene, i tramonti, la Natura, gli uccellini eccetera. Questo c’è e sicuramente ha a che vedere con la spinta cristologica che c’era in Terence ben prima che si mettesse ad andare in bicicletta con una tonaca addosso. Ma non è nemmeno vero che nelle bagarre, per esempio, la sana crudeltà sia del tutto bandita: lo stesso Terence una un paio di volte degli arnesi roventi per ustionare gli avversari e a un certo punto sperimenta una variante molto più lunga però, di quello che un tempo era il punchball vivente con un antagonista. No, c‘è qualcosa di più profondo che ha a che vedere con lo spirito dei tempi, se Botte di Natale non funziona ed è fiacco. Sono le stesse ragioni per cui il più o meno contemporaneo Johnathan degli orsi di Enzo  Castellari fu un fiasco e un film che non riusciva a mordere. È il nerbo mancante a quasi tutto il cinema italiano degli anni Novanta, temporalmente figlio in qualche modo del primo governo Berlusconi. E ben storicizza Giusti ricordando che Botte di Natale uscì in concomitanza con la prima caduta – dicembre 1994 – del sogno degli italiani. Quindi…