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Boia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni sessanta

2019
REGIA:
Steve Della Casa
CAST:
Dario Argento
Jean-François Rauger
Frédéric Bonnaud

Il nostro giudizio

Boia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni sessanta è un documentario del 2019, diretto da Steve Della Casa.

Fa un effetto strano ritrovarsi a parlare di cinema dell’orrore ad un festival internazionale così notoriamente autoriale come la Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Eppure, in mezzo alla sfilza di grandi nomi e produzioni che come da copione hanno riempito il programma di quest’anno, c’è stato anche a sorpresa lo spazio per omaggiare, con la presentazione di ben 3 documentari, un ambito così specificatamente nostrano come quello del cinema di genere all’italiana. A chiudere questo trittico di produzioni (di cui fa parte Fulci or Fake e Life As A B-Movie) inerente a quello che rappresenta a tutti gli effetti un momento topico nel panorama creativo della nostra storia è stato Boia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni Sessanta di Steve Della Casa, omaggio simpatico e partecipato ad un filone particolarmente rappresentativo di quella che era la cultura italiana a cavallo degli anni 60 e 70. Frutto di un lungo processo di ricerca condotto dal regista assieme ad un numero consistente di collaboratori, tra i quali figura anche Carlo Cotti, il film consiste in una sorta di piccolo catalogo dei modi e dei tratti che hanno reso popolare, in Italia e all’estero, il filone cinematografico del titolo.

Tramite una serie di conversazioni con personalità importanti dell’ambiente produttivo italiano (tra gli intervistati figurano anche Dario Argento e Pupi Avati, giusto per citarne due), si ripercorre insomma un intero decennio di cinema, tra exploit autoriali e opere misconosciute. Si comincia dalle origini del genere, sorto tra le intenzioni creative di alcuni dei più famosi autori di quegli anni e la necessità di espandere l’orizzonte commerciale italiano oltre i propri confini geografici. Particolare attenzione viene rivolta alle opere di Riccardo Freda – con un curioso riferimento alla scena di apertura del suo Beatrice Cenci, anticipatore della svolta gotica che la filmografia del regista avrebbe subito – e di Mario Bava. Si procede poi con il ruolo della figura femminile (doveroso il riferimento alla carriera di Barbare Steele) e le modalità rappresentative dell’elemento sessuale, per poi concludere con l’analisi dell’impatto che il filone ha avuto, a livello stilistico e contenutistico, sui grandi maestri del genere che sarebbero emersi nei decenni seguenti (non solo i già citati Argento e Avati, ma anche Carpenter e Romero).

Un’opera, insomma, che non ha paura di esplorare questo filone in tutta la sua ampiezza contenutistica. C’è da dire che sfortunatamente, a lungo andare, l’operazione tende ad accusare gli effetti di un certo schematismo costruttivo, con il continuo alternarsi di spezzoni e interviste, e soprattutto della ristrettezza delle citazioni visive fornite, probabilmente dovute a problemi di copyright (di Mario Bava, ad esempio, vengono mostrati solo scene del suo 6 donne per l’assassino). Aldilà delle ovvie limitazioni, Boia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni sessanta rimane un progetto, se non fondamentale, sicuramente interessante, capace di affrontare con disinvoltura e partecipazione  quello che è, a tutti gli effetti, uno dei momenti cinematografici più felici del nostro itinerario culturale: come il regista stesso ha dichiarato nel Q&A seguito alla proiezione: non si può raccontare la realtà italiana di quegli anni senza raccontarne il cinema.