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Bloody Marie

2019
Titolo Originale:
Bloody Marie
REGIA:
Guido van Driel, Lennert Hillege
CAST:
Susanne Wolff (Marie)
Dragos Bucur (Dragomir)
Alexia Lestiboudois (Iliana)

Il nostro giudizio

Bloody Marie è un film del 2019, diretto da Guido van Driel e Lennert Hillege.

È inutile far finta di nulla. Bloody Marie è un film strano. Un film davvero molto, molto strano. Uno di quei film che, pur non brillando particolarmente né per forma né tanto meno per sostanza, per qualche esoterico motivo lascia addosso un appiccicoso e malsano turbamento. Ed è forse proprio a causa di questa insondabile “stranezza” se, alla fine, la disturbante creatura partorita da Guido van Driel e Lennert Hillege non è riuscita a districarsi fra i nove titoli tedeschi in corsa per l’ambito Oscar al Miglior Film Straniero. Poco male, poiché il serrato tour de force festivaliero, da Rotterdam in avanti, non è certo stato stitico di soddisfazioni e vigorose pacche sulle spalle. Senza ovviamente disdegnare anche una diffusa e genuina perplessità. Un film strano dicevamo. E come potrebbe essere altrimenti? Prendiamo la nostra protagonista Marie (Susanne Wolff); ex prodigio di foglio e matita, divenuta a suo tempo celebre grazie a una graphic novel a tema ginecologico e ora costretta a sopravvivere, ciucca tradita e povera in canna, fra le mille tribolazioni del quartiere a luci rosse di Amsterdam.

Tra parecchi goccetti di troppo e il sapore ancora caldo delle lacrime versate per la recente scomparsa della madre, tutto inizia a prendere una piega, se possibile, ancora peggiore a seguito dell’incontro più o meno fortuito con un vicino di casa pappone, invischiato fino al midollo in affari tutt’altro che leciti nei quali la nostra bella e alcolizzata artista in crisi verrà ben presto trascinata senza troppi complimenti. Fin qui nulla di particolarmente stonato, giusto? Uno spunticino non certo di primo pelo ma dal quale, con un po’ di olio di gomito e qualche strizzata di neurone, si può certamente cavar fuori qualcosa di interessante. Ed è appunto quello che i nostri due bravi cineasti tentano di fare con pacata e coraggiosa onestà, regalandoci un’anti-eroina coi contro attributi, odiosa, laida e simpatica come un’incudine dritta dritta sull’unghia incarnita. Insomma, una che non smetteresti di prendere a seggiolate sui denti fino e ben oltre i titoli di coda.

Posti dunque nella totale impossibilità di empatizzare con questa viziosissima protagonista anche nei momenti in cui la sua ruvida pellaccia rischia di essere svenduta prima del tempo, non resta che abbandonarsi all’indubbio fascino di atmosfere notturne rischiarate dalla fredda luce al neon di sobborghi cittadini che gridano peccato e perdizione a squarciagola, rievocando a tratti la migliore tradizione nel noir di qualità. Ed è appunto questo clima di sospensione, gelido e desolante nella sua nordica essenzialità, a costituire l’ottima scorza che avvolge un racconto tutto sommato privo di particolari elementi di nota, messo in ammollo a macerare in uno spesso strato di spleen a tratti quasi jarmuschano, rinvigorito qua e là da sprazzi di thriller e, in misura decisamente minore ma straordinariamente stordente, situazioni surreali e grottesche come solo dal profondo nord sono in grado di scodellarci. Bloody Marie è un film che avanza, divaga, torna in sé, si riperde e si ritrova, trascinandosi alla fine più per sensazioni che per vera e solida narrazione, senza avere nulla di particolarmente nuovo o importante da dire ma deciso a dirlo per bene e comunque. Un film strano, dicevamo. Strano come quel tal compagno di classe che, seduto timidamente in ultimo banco, bersagliato dalle angherie e derisioni del resto della comitiva, non si capiva mai bene se fosse un genietto o solo un tipetto strambo.