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Blood Red Sky

2021
REGIA:
Peter Thorwarth
CAST:
Carl Anton Koch (Elias)
Peri Baumeister (Nadja)
Kais Setti (Farid al Adwa)

Il nostro giudizio

Blood Red Sky è un film diretto da Peter Thorwarth e uscito nel 2021.

Blood Red Sky è una gradevole sorpresa. Gestito bene, soprattutto nella prima parte, con la regia robusta di Thorwarth, che ha alle spalle una certa esperienza professionale (15 film) ma solo ora si affaccia oltre l’alto-piano Svevo-bavarese. Tra le nubi purpuree di un cielo cremisi il regista lega insieme a nodo inglese il genere “dirottamenti aerei complicati” e “aiuto, mia mamma è una vampira”. Non solo, anche qui, come nel caso di Train to Busan, c’è un sostrato sentimental-popolare e da neorealismo zavattiniano. Lì un padre e una figlia in viaggio pieno di zombi e qui una madre e un figlio in un viaggio pieno di vampiri. Anzi, tutto comincia proprio da lei. Nadja è malata, indossa una parrucca e ha uno sguardo terribilmente spento. Solo il suo bambino riesce a illuminare quel poco di brace che ancora cadizza nel fondo delle sue orbite incavate. Insieme, i due sono diretti nella terra delle strenue promesse, l’America, dove un dottore assicura di avere la soluzione al tumore che deprime la donna. La pelata di Nadja però non è dovuta alla chemio ma a qualcosa che viene dalle fole e dai miti. Il vampirismo purtroppo è rappresentato con la moderna accezione idrofobica degli zombi rabbiosi di 28 giorni dopo e i runners dopati di Alan Bay. Non si può avere tutto. Il contesto limitatissimo dell’aereo riporta invece a Rec e ancor prima ai Demoni di Argento e Lamberto Bava. La vicenda dei terroristi è del tutto funzionale e stigmatizza il razzismo insito anche nei cosiddetti “buoni” del caso.

Ovviamente l’aspetto degli attentati è un babau fuori-moda. Non sono certo i pazzi con la dinamite che prendono in ostaggio un equipaggio tra le nuvole a scatenare l’angoscia in Blood Red Sky. È il virus, che presto, da una mamma vampiro, si diffonde tra i terroristi e i passeggeri. I primi sono ben contenti di assimilarne le proprietà irruente ed erculee; la gente comune invece può scegliere tra il diventare una bibita o qualcuno che beve. Nadja mostra una sofferenza costante. Il vampirismo, nell’accezione di Thorwarth e nella buona incarnazione della tedeschina Peri Baumeister, è un male che getta chi ne diventa portatore, in una perenne e divorante sete di sangue. La povera madre cerca di contenerlo e nasconderlo facendosi delle misteriose iniezioni, suggerendo che la scienza è da tempo al corrente della tenebrosa piaga e ha sviluppato già efficaci soluzioni per reprimerla ed estirparla. In fondo il sistema proposto dal dottore americano, intuendolo dalle parole del figlio Elias, sostituisce il sangue cattivo con un sangue buono, ed è la vecchia ricetta del Van Helsing di Stoker, nient’altro che un bel salasso e passa la paura. Non sappiamo se funzionerà o meno, perché la disputa tra la nosferatu e i Rammstein versione dirottamento sarà a dir poco travagliata. Ed è un bene perché sarebbe stato molto più semplice trasformare la Baumeister in una specie di Rambo sbrodolato di sangue che spezza, spacca e ciuccia i cattivi dirottatori, salvando il figlio e conducendo tutti in salvo.

Questo film, però, per quanto usi un lessico fanta-horror spinto e ci racconti una fiaba nera, non vuole dirci le cazzate dove è davvero importante non dircele. La vita è dolore e in mezzo a quel dolore c’è amore, speranza, cattivi e mediocri compagni di viaggio. Ci si batte fino in fondo ma a volte finisce che si muore malissimo e che non basta crederci per uscirne. Blood Red Sky è soprattutto molto cupo, disperato. Il piccolo Elias, con il suo orsacchiotto e l’aria sveglia (Carl Anton Koch) è inizialmente odioso come tutti i bambini cinematografici del dopo Culkin, ma andando avanti rompe il muro di misantropia dello spettatore e verso la fine, quando lui fissa la mamma sbavante e ringhiosa, implorandole un abbraccio, mentre lei lo respinge a oltranza, soffiandogli contro, ecco che lui mette su un broncio a cui sarà difficile rimanere indifferenti, portando l’epilogo di Blood Red Sky ai livelli tragici del disneyano, durissimo e segnante, Zanna gialla di Robert Stevenson (1957). Lunghetto, di poco oltre le due ore, ma non si fanno sentire.