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Blood & Gold

2023
REGIA:
Peter Thorwarth
CAST:
Robert Maaser (Heinrich)
Jördis Triebel (Sonja)
Alexander Scheer (von Starnfeld)

Il nostro giudizio

Blood & Gold è un film del 2023, diretto da Peter Thowarth.

Se è vero che un titolo e non un’immagine vale più di mille parole, beh, allora Blood & Gold lascia davvero molto poco all’immaginazione. Anche perché, a ben vedere, sin dai tempi di Mafia, Pizza, Razzia e Bang Boom Bang, quel buontempone di Peter Thowarth con i titoli ci ha sempre saputo fare, e anche parecchio. E così, dopo il sanguigno (e sanguinolento) dirottamento vampiresco ad alta quota di Blood Red Sky – altro titolone che è tutto un programma -, il nostro ha deciso di optare per la vera e propria svolta, confezionato quello che, a conti fatti, altro non è se non un  solido western in piena regola mascherato sotto le tutt’altro che mentite spoglie di un solido war movie. Un film curioso e a suo modo folle che, nonostante ciò che il furibissimo trailer vorrebbe ingannevolmente farci credere, tutto è fuorché pulp. Beh, forse giusto un pochino. Quanto basta per allinearsi a quegli Ingloriosi Bastardi tarantiniani che sembrano recentemente aver contagiato, con il loro irriverente e caciarone revisionismo storico gran parte del cinema bellico 3.0, dal nostrano Rapiniamo il Duce all’egualmente tosta frontiera nordica del finlandese Sisu – L’immortale. Proviamo a fare un gioco: dimentichiamo per un attimo di trovarci nella devastata Germania del 1945, sconfitta e morente sotto gli ultimissimi fuochi della Seconda Guerra Mondiale, e immaginiamo piuttosto di essere baciati dal cocente sole che fa capolino dietro all’insidioso confine texano-messicano di fine Diciannovesimo Secolo.

Proprio lì dove l’ombroso soldato disertore Heinrich (Robert Maaser) è stato provvidenzialmente sottratto alla mortale stretta del cappio grazie al tempestivo aiuto della bella e coriacea contadina Elsa (Marie Hacke), costretta a vivere di stenti e solitudine nella diroccata fattoria di famiglia assieme al grande, grosso e un po’ tonto fratellino Paule (Simon Rupp). Le già dure e provate esistenze dei nostri eroi della frontiera finiranno tuttavia con lo scontrarsi a muso duro contro un temibile branco di bandidos (pardon, nazisti) capitanati dallo sciroccato e sfregiato comandante von Starnfeld (Alexander Schees) giunto, assieme ai suoi temibili seguaci e alla sua inquietante mezza maschera da Fantasma dell’Opera, in quel della desolata cittadella di Sonnenberg, alla ricerca di un succulento carico di lingotti d’oro misteriosamente scomparso dall’ormai incenerita dimora appartenuta all’unica famiglia ebrea da tempo fuggita. Si prepara dunque un’epica ed inevitabile mexican (pardon, german) standoff che, tra zufolate di armonica a bocca e strombettate in puro stile morriconiano, vedrà i nostri impavidi Giustizieri e di loro svasticati acerrimi nemici darsi vicendevolmente battaglia assieme ad un non certo accogliente e ben disposto manipolo di cittadini, anch’essi ingolositi da quel succulento doppio bottino che un titolo come Blood & Gold promette di regalare a chi saprà realmente meritarselo.  A dire e a fare Tarantino (pardon, Leone) ci vuole davvero poco. Ma esserlo, beh, quella è tutta un’altra storia.

Appurato dunque che il buon Thowarth non condivide certamente alcuna parentela di sangue o cinepresa né con il caro zio Quentin né tantomeno con il mitico babbo Sergio, gli va ugualmente riconosciuto il merito di aver tirato in piedi un discreto e sfizioso baraccone che, al netto di qualche sporadica zaffata di trash (in)volontario e di una tutt’altro che velata “serietà” non sempre a proprio agio in mezzo al fuoco incrociato di pompatissime sparatorie da saloon e ipercinetiche zuffe corpo-a-corpo in odor di David Leitch, può godere del lusso di prendersi sul serio ben più di quanto il titolo e il genere farebbero pensare. Partendo dal più classico e stereotipato degli incipit, capace di guardare fieramente negli occhi più della metà della gloriosa filmografia western con o senza spaghetti – dal Matalo! di Canevari all’eastwoodiano Impiccalo più in alto di Ted Post -, Blood & Gold sceglie infatti di battere il terreno di guerra già asfaltato dal pesante cingolato del Fury di David Ayer, senza tuttavia mai deragliare del tutto su quei goliardici e autoironici binari attraversati a folle velocità dal fu stramaledettissimo treno blindato di castellaniana memoria, rivelandosi dunque per quello che realmente è: un’opera genuinamente derivativa e onestamente cintazionista, perennemente indecisa se solcare il deserto o la trincea ma pronta a sparare le sue non certo indifferenti cartucce fino all’ultimo colpo. Non sempre capace di centrare il bersaglio, questo è ovvio, ma comunque degna di essere gustata per ben più che un misero pugno di dollari.