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Bliss

2021
REGIA:
Matt Cahill
CAST:
Owen Wilson (Greg)
Salma Hayek (Isabel)
Madeline Zima (Doris)

Il nostro giudizio

Bliss è un film del 2021, diretto da Matt Cahill.

Ci sono dei film americani che non vogliono dare al pubblico quello che è abituato a ricevere. Bliss è uno di questi. Stroncato quasi da chiunque ma poco importa. Vi si avverte, nell’attitudine degli attori, nel loro sguardo allucinato, l’entusiasmo di prendere parte a qualcosa di particolare, di innovativo, audace e che spezzi la noiosa routine di commedie per famiglie, demenzialità ciniche da decuplicare sui social in tanti piccoli meme o gli infiniti action movie dove il pubblico è come un bimbo di pochi mesi, destinato a una serrata pioggia di stimoli forti, sparatorie, esplosioni, sangue e tette che lo annichiliscano mentre ingurgita senza nemmeno rendersene conto i cibi sintetici del casotto alimentare multisala o, di questi tempi, le pizze precotte e le bibite ipercaloriche dei discount. Il cinema è un viaggio virtuale in un mondo straordinario da vivere tutto d’un fiato, mentre nel mondo vero gli scarafaggi danzano sulle nostre ginocchia, le mogli ci mollano, i figli si intossicano di social e spotify e la disoccupazione dilaga. Bliss sembra volerci aiutare, durante il sogno indotto, a porre davanti al virus neoliberalizzato, la leggiadra disperazione dei disegni di Greg Wittle, (Owen Wilson) che dal proprio ufficio/cuccetta di un’azienda/Titanic in avaria, traccia schizzi di un mondo immaginario che vede, forse con l’aiuto degli antidolorifici da cui è dipendente o semplicemente dallo stoner di una vita che non gli appartiene veramente e da cui vorrebbe fuggire verso qualcosa di più autentico. Bliss inizia in modo meraviglioso. Il mondo reclama a gran voce irata il povero Wittle, ma lui tergiversa, risponde al telefono solo alla figlia, riprende i suoi schizzi, ordina una ricetta medica, finge di lavorare mentre resiste alle cose là fuori. Tutti che lo vogliono, lo esigono.

Viene quasi il sospetto che Cahill, anche autore dello script, voglia compiere l’impresa di lasciare Owen Wilson chiuso in un ufficio per tutta la durata del film, a combattere con le proprie visioni, mentre fuori Godot bussa sempre più insistente alla porta, ma l’illusione dura poco e il colpo di scena che chiude il primo atto, e che sa tanto di scuola di sceneggiatura, è solo un buon colpo di scena, di quelli che promettono più di quanto riusciranno mai a mantenere. Fare film è un’illusione, come diceva Renoir (insomma, l’avrà detto almeno una volta) anzi, un treno di illusioni tutte concatenate: il regista che illude il produttore di fare il film che vogliono i finanziatori e il produttore che illude il regista di credere a questa illusione; gli addetti al marketing che illudono il pubblico di vedere qualcosa che ha sempre desiderato e il critico che illude se stesso di scrivere su qualcosa che ha visto davvero. L’illusione di Bliss è un film che si illude di essere un meta-film, una roba alla Matrix e che in realtà è più una versione cospirazionista di Love Story.“Il mondo è solo luce che rimbalza sui tuoi neuroni, è malleabile, è artificiale. Sei libero…”. Questo dice la misteriosa scienziata/druida metropolitana Isabel Clemens (una mai così milfona Salma Hayek), personaggio magnetico e capace di prendere la storia e spingerla verso la metafisica del cuore, con la disinvoltura di una vera fatalona. A quel punto è tutto un prendere o lasciare in Bliss, capite? Non si tratta semplicemente di un film ricco di colpi di scena, spigoloso e che mette in tavola una serie di elementi aspettando che sia lo spettatore a collegarli nel modo giusto, è una sorta di fiaba adulta, una specie di cantico funebre della realtà che conosciamo e che il cinema stesso ha contribuito a codificare, calcificare nella nostra memoria.

Guarda caso, quando moriamo, sembra un film riavvolto. Pensate che quest’espressione la usassero i greci antichi? L’arte ci insegna a vedere le cose/l’arte ci vizia e limita. Ne consegue che solo l’arte può liberarci dall’incantesimo sostituendolo a un altro incantesimo. Bliss non evita l’urticante razzismo cinematografico recente, infilando addirittura due figli neri nella famiglia di Owen Wilson, che quindi sfugge a una ex moglie di colore per infilarsi tra le grinfie di una messicana illuminata e barbona, la quale parla prima di virtualità programmata e poi di destino e anime gemelle, in un pastone dove la neuroscienza burger del miliardario Musk e il romanticismo d’appendice degli youtuber sono caramellati da una odiosa e ipocrita glassa politically correct. La Hayek ci dice che tutto è illusorio ma che tutto è condannato a essere quello che sarà. Insomma, se è solo una grande illusione, possiamo romperla, ma tutto è scritto, allora cosa ce ne facciamo della consapevolezza che è tutta un’illusione? E perché trasformare la realtà stessa dietro l’illusione in una specie di artificio depurato grazie alla tecnocrazia? Sentite che bordello? Cahill ce la mette tutta a farci pensare sul serio all’esistere e il credere di esistere, ma il suo tiro da metà campo, per quanto sia audace e teologico, finisce rovinosamente sugli spalti. Però Bliss ci ha provato e già questo è molto. Se ci alziamo dal divano diversi da come eravamo prima di metterci seduti, è già tanto. Meglio dell’apatia iperglicemica da storie seriofilizziate che ci sprofondano in un gorgo di prossimi episodi e di calorie inutilizzate.