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BlacKkKlansman

2018
Titolo Originale:
BlacKkKlansman
REGIA:
Spike Lee
CAST:
John David Washington (Ron Stallworth)
Adam Driver (Flip Zimmerman)
Laura Herrier (Patrice)

Il nostro giudizio

BlacKkKlansman è un film del 2018, diretto da Spike Lee.

Ad un certo punto era legittimo dubitare, anzi potevamo dirlo senza troppi giri di parole che l’avevamo perso. Aveva smarrito la strada, forse anche l’estro, con quel pastrocchio di Miracolo a Sant’Anna e quell’evitabilissimo remake di Oldboy. Un primo segnale di ritorno ce l’ha dato con quel folle gioiellino che è Il Sangue di Cristo, ma ora si può gridarlo ai quattro venti: Spike Lee è tornato. Con BlacKkKlansman è riuscito a firmare un’opera matura, dinamica, forte di quella freschezza che dovrebbe essere ad appannaggio di un giovane autore. Il signor Lee (salvo che da oggi non si metta in discussione il conto) ha dalla sua sessantuno primavere, continua a fare cinema  di pancia e cuore, con lo stesso entusiasmo con cui segue i suoi New York Knicks. Il che, dispiace dirlo, lo rende de facto un testardo amante delle cause perse; ma è proprio questa sua inamovibilità, questo suo abuso di punti esclamativi, lettere maiuscole e rifiuto di puntini di sospensione ad aver reso BlacKkKlansman un magnifico lascito ai posteri cinefili e un modernissimo manuale d’uso per la rivoluzione.

La storia “fottutamente vera” di Ron Stallworth (John David Washington), primo afroamericano ad entrare nella polizia di Colorado Springs, comincia con un annuncio sul giornale: il KKK sta cercando nuovi adepti da reclutare. Ron non ci pensa su un secondo, alza la cornetta e compone il numero, entrando così in contatto con un’importante cellula di suprematisti bianchi. Come ampiamente anticipato in questi mesi di attesa, il tono con cui quest’avventata operazione inizia è all’insegna dell’ironia. Il personaggio di Ron prende un’iniziativa individuale, dopo essere stato costretto per mesi a lavorare in archivio e successivamente a spiare in incognito un comitato di studenti di colore. Il suo partner Flip Zimmerman (Adam Driver), uomo designato a fare le sue veci negli incontri con il KKK, è buffamente inadatto quanto lui a fare l’infiltrato, essendo ebreo. Non è tanto il loro non essere bianchi puri a renderli gli esseri più simili in questa delicata situazione, quanto il loro rifiuto ad avere un qualsivoglia senso di appartenenza che non sia quello alla cosa giusta. Spike Lee, con BlacKkKlansman, ci traghetta in un contesto estremamente dettagliato e stratificato, mai fin troppo soggettivo o di parte.

Se da una parte gli uomini che si nascondono sotto i cappucci bianchi emergono in tutta la loro ottusità e codardia, dall’altra la comunità nera si mostra testarda e diffidente anche nei confronti di chi vuole darle giustizia. L’America leeiana è già compromessa, spaccata da un passato incancellabile. Il pessimismo sociale del regista nativo di Atlanta si abbatte in maniera cristallina sulle nostre menti, dopo aver ridicolizzato, dissacrato il mito a stelle e strisce. Coloro che lo hanno creato e fatto perdurare sono proprio quei falsi machi, minus habens e criminali di stampo coeniano che sottopongono i nuovi adepti alla “macchina della verità per ebrei” e che credono di poter riconoscere un nero al telefono da come pronuncia la parola “quando”. Il confronto finale tra i nostri eroi e questi improbabili villain si consumerà in una sequenza ricca di tensione poi sublimata da un’esplosione di sano divertimento. L’epilogo  di BlacKkKlansman, invece, è amaro, condito da quella rassegnazione che i tempi odierni comunicano: un falso happy ending per un’America (e un mondo) che ancora oggi preferisce distruggere piuttosto che creare, capovolgere la verità e vedere solo il bianco e il nero.