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Betaal

2020
REGIA:
Patrick Graham, Nikhil Mahajan
CAST:
Vineet Kumar Singh (Vikram Sirohi)
Aahana Kumra (DC 'Ahlu' Ahluwalia)
Suchitra Pillai (Comandante Tyagi)

Il nostro giudizio

Betaal è una serie tv del 2020, ideata da Patrick Graham.

Quella di Patrick Graham è una storia interessante e da approfondire, che ricorda in alcuni punti le scelte di vita e la carriera di Gareth Evans. Così come il gallese, autore di gioielli di azione come il dittico The Raid e The Raid 2, anche Graham, formatosi nella London Film School, ha preferito cambiare aria e dirigersi a oriente, dove ci sono industrie cinematografiche di tutto rispetto e dalle ottime maestranze, libertà creativa impensabile a Hollywood e costi irrisori, pur venendo penalizzati dalla scarsa visibilità sul mercato occidentale. Un problema, quest’ultimo, che le piattaforme streaming come Netflix stanno lentamente risolvendo, arricchendo il proprio catalogo di film e serie provenienti da tutto il mondo, dimostrando che il successo di un prodotto non ha nazionalità se la fattura è buona e la storia interessante. Dopo aver distribuito Ghoul, un film adattato in forma seriale del 2018 scritto e diretto da Graham, Netflix dà carta bianca a questa piccola factory indiana in collaborazione con la Blumhouse e presenta, con un coraggio che nessun distributore classico avrebbe, la miniserie in quattro puntate Betaal, forte del successo non solo di Ghoul, ma anche del coreano Kingdom. Betaal è però una serie di zombi atipica, unica nel suo genere in patria, in cui Graham, come nella sua opera precedente, rivisita miti e folklore locale (in particolare la leggenda del Vikram-Betaal) in una chiave internazionale e con un forte gusto per il messaggio politico e sociale.

Se Ghoul aveva come nucleo narrativo il terrorismo, in Betaal si parla esplicitamente di governi autoritari, di guerre civili e dei rapporti, mai appianati, con la colonizzazione britannica. In nome del progresso urbanistico, il piccolo villaggio di Adivasi deve essere sgombrato per permettere l’apertura di un vecchio tunnel costruito dagli inglesi. Gli abitanti della valle si rifiutano però di abbandonare le proprie case, costringendo il governo a ricorrere a una squadra speciale di soldati che dovranno liberare l’area con ogni mezzo prima dell’arrivo del primo ministro. Ma il comandante Sirohi (Vineet Kumar Singh) e la sua squadra, convinti di trovarsi di fronte dei Naxaliti, ovvero oppositori terroristi, aprono il fuoco e fanno strage del villaggio. La vera sfida sarà però poco dopo: aperto il tunnel infatti dovranno affrontare l’orrore che gli autoctoni tentavano di tenere imprigionato, placandolo regolarmente con sacrifici rituali. La montagna nasconde un esercito di soldati inglesi zombi, guidati da John Lynedoch, un colonnello che pur di saziare la propria brama di potere aveva stretto un patto diabolico divenendo egli stesso un demone.

Così come in Ghoul, anche in Betaal è possibile rintracciare nella narrativa di Graham delle costanti autoriali e dei topoi ben precisi che ci raccontano chiaramente qual è la sua visione del mondo e, in particolare, dell’India. Il ritratto che ne esce fuori, mondandolo dagli ettolitri di sangue e dall’abbondante uso di frattaglie, è distopico e descrive un governo dagli ampi tratti autoritari, in cui corruzione e propensione alla violenza sono paralleli, speculari all’esplosione del sovrannaturale. È evidente l’intenzione di rifare La notte dei morti viventi di Romero aggiungendo un folklore locale che si possa adattare facilmente, ma il miscuglio è ben riuscito grazie al ritmo molto alto, all’attenzione per i personaggi e per i momenti horror molto ben fatti (inquietante il primo ingresso all’interno del tunnel). Da Romero, inoltre, viene mutuato anche l’uso dello zombi come allegoria, come esca per parlare di qualcos’altro e, nel dettaglio, di un passato violento e cupo che fatica a cancellarsi, riverberando nel presente le sue venature più terrificanti. Ma l’uso politico del morto vivente non travalica mai la storia e la voglia di intrattenere il pubblico: anzi si respira nelle tre ore di visione un forte amore per il genere che grida fortemente come un horror originale, pur nel rispetto dei giganti del passato e nei limiti del sottogenere, sia ancora possibile.