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Banshee – La città del male – Stagione 2

2014
Titolo Originale:
Banshee
CAST:
Antony Starr (Lucas Hood)
Ivana Milicevic (Carrie Hopewell)
Ulrich Thomsen (Kai Proctor)

Il nostro giudizio

Banshee – La città del male – Seconda stagione è una serie tv del 2014, andata in onda per la prima volta in Italia nel 2015, ideata da David Schickler e Jonathan Trooper.

Dove eravamo rimasti? Ah sì. Nel “Gangster’s Paradise” che è quella placida (immaginaria) cittadina di Banshee, dove le domande si fermano sempre un attimo prima di far crollare il castello narrativo che sorregge il folle incipit iniziale e dove, quando non si scopa, (ci) si picchia come fabbri, e il criminale senza nome, che là tutti sanno essere lo sceriffo Lucas Hood, è pronto, dopo essersi esautorato, ad affrontare, insieme al gruppo di nuovi ed ex colleghi, le conseguenze della sue azioni. Ma il funzionario federale, che già conosce il Nostro dai tempi della sua carriera precedente, inviato a tenere sommario processo, sa bene che, se si vuole fermare l’infernale criminale ucraino Rabbit, suocero di Hood, c’è bisogno che quest’ultimo si riprenda la sua stella di latta. Intanto, al comando, al “buono” Emmett, stufo di porgere l’altra guancia, iniziano a prudere le mani, il vice Brock è sempre più irrequieto e ne vorrebbe sapere di più sul suo capo, mentre l’integerrima agente Siobhan (la trentaquattrenne Trieste Kelly Dunn per cui varrebbe la pena infrangere leggi quotidianamente, se solo facesse davvero l’agente anche nella vita) inizia a essere un po’ meno frigida nei suoi confronti.

A casa, Carrie, è pronta a svelare al marito la sua vera identità, con conseguenze immaginabili sull’equilibrio familiare e del pover’uomo, che si trascina in un vortice di psicofarmaci, alcool e puttane d’alto bordo. Sparigliate le coppie, la storia riparte proponendoci nuovi scenari e assetti criminali suggeriti in finale della prima stagione, come l’ambigua liaison tra lo spietato Kai Proctor (Ulrich Thomsen) e Rebecca Bowman (Lili Simmons), conturbante quanto, sempre più, assetata di potere, e la prepotente entrata in scena del contingente indiano, ma, anche, rendendo consapevoli i protagonisti che il passato è una carta che, nei meandri della mente, come nei corridoi di un ospedale, è sempre pronta a uscire, in maniera casuale e incontrollabile, dal mazzo. Allontanandosi, almeno in parte, dalla rincorsa al colpo di scena, in favore di una prevedibile, quanto auspicabile, discesa verticale tra le pieghe del Male, Banshee – La città del male – Seconda stagione fa le prove per farsi (più) grande, proponendo, senza soluzione di continuità, un viaggio spazio temporale che, volutamente, confonde e rende ancora più labili i confini delle azioni perpetrate.

Certo, ci vuole un po’ di sana pazienza perché, nonostante lo sforzo profuso nel tracciare i percorsi narrativi, ancorché psicologici, dei protagonisti, anche alterando in parallelo la micro web-series Banshee: Origins, la grana è, spesso, grossa e i dialoghi non sempre sono all’altezza. Ciò detto, va dato atto delle capacità produttive, come già, peraltro, accadeva nella prima stagione, nel confezionare episodi che “funzionano”, arrivando, dopo il quinto, e in questo senso decisivo, episodio, a toccare punte di notevole lirismo. Eh già. Perché in uno scenario dove l’uso della violenza si fa sempre più (ri)soluzione catartica, Sesso e Morte si oggettivizzano nei corpi nudi che si penetrano (anche) con la lama di un coltello che assume, a più riprese, in questi contesti, valenza fallica; e Banshee – La città del male – Seconda stagione è, prima di tutto, un posto dell’anima, luogo di purificazione e di educazione criminale, dove noi, come e forse più dei protagonisti, torniamo sempre, maledettamente, volentieri.