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Baby love

1979
Titolo Originale:
Baby girl
REGIA:
Rino Di Silvestro
CAST:
Katia Wassel
Violette Lafont
Greta Van Hallenn

Il nostro giudizio

Una favola scollacciatissima, grottesca e onirica, con protagoniste una regina e la sua giovane figliastra, Baby Love, alle prese con quattro tipi da barzelletta.

Ci stanno un giapponese, un americano, un russo e un siciliano… Baby Love parte come le barzellette, con questi quattro personaggi che a bordo di una macchina coperta di specchi salgono i tornanti che conducono al castello di Balsorano. Sono Hal Yamanouchi, Sergio Ciani in versione ossigenata più altri due anonimi del Trecento che non identifico. Quando entra in scena la regina del castello, una Paola Maiolini (nome d’arte Katia Wassel o Violette Lafont? Agli esperti l’ardua…) con accento bolognese e sguardo tra l’ebete e il puttanesco, che vuole accasare la figliastra Baby Love (Wassel o Lafont, nei crediti?) spillando miliardi ai quattro figuri, realizziamo che i peggiori dialoghi del cinema italiano, anzi del cinema mondiale, non li ha scritti Polselli ma il povero Di Silvestro, che in questa pellicola, a suo modo indimenticabile, si mette per la pericolosissima strada del grottesco-surreale giungendo dalle parti di un Arduino Sacco. Il maestro Di Silvestro fa parlare i personaggi con il linguaggio tecnico dell’economia, andando avanti per quarti d’ora interi con le metafore e sortendo più che la semplice rottura di coglioni un’irritazione pari soltanto a quella che si sperimenta di fronte ai dialoghi, appunto, di un Sacco o di un Polselli.

L’idea era di fare un porno intellettualoide – non lo dico io ma il regista stesso: «Volevo entrare nei meandri sessuografici con una grande tematica filosofica» – ma l’esito è infausto e non ci può essere benevolenza che tenga, dinnanzi all’opera, se non a prezzo di azionare il tasto del mute. Perché perlomeno, quanto a baccanale visivo, nella totale schizofrenia della lexis eiromene e di una storia che non ha davvero alcuna storia, ne progredisce solo sotto il segno dell’improvvisazione esagitata che Di Silvestro chiedeva agli attori, Baby love porge immagini suggestive: mani che appaiono dal buio a palpare le nude grazie, fresche ma già un po’ mézze di Baby Love, una trucida con lo sguardo pure lei perso nel nulla; la Maiolini che esegue la danza dei sette veli prima di dare il via a un partouze, strisciandosi contro i convitati; di nuovo la Maiolini sottoposta, senza alcuna ragione, a un rito nero, durante il quale viene fustigata dalle sue ancelle e quindi si accomoda sul fallo, ritto ed enorme, di un idolo di legno; un santone che si fa bucare il capezzolo con uno spillo (ma che schifo!), prima di ingroppare delle adepte truccate tipo morte viventi di Jean Rollin… e si potrebbe continuare ad libitum. Semmai è strano che le sequenze erotiche (erotiche, vabbé…) siano spente, tutte, anche quelle lesbo nelle quali di solito Di Silvestro riponeva un’attenzione particolare. Qui ce n’è una spiata attraverso uno specchio dai quattro tipi da barzelletta, con la ragazzina che si masturba mentre due delle sue istitutrici si scambiano assai poco convincenti effusioni. Un’altra, tra Baby Love e un’istitutrice, va già un po’ meglio, ma il cartello di fine primo tempo giunge a chiudere il quadretto sul più bello.

Che Baby Love sia stato girato porno, lo capisce anche un cieco. E anche nella versione “pulita” permane, qua e là, la visione fugace di una fellatio o di un coito non simulati nella scena dell’orgia al castello dove tutti i figuranti – tra essi anche una vecchia buzzicona che peserà un quintale – indossano strategicamente delle maschere. La Maiolini si diceva ignara del particolare spessore porno, ma ricordava il film per avere fornito lei gli abiti di scena dal proprio guardaroba, senza averli mai avuti indietro, e per essersi incautamente legata in amicizia con una delle attrici che sosteneva di fare teatro e in realtà (Maiolini dixit) «faceva marchette». Si tratta di una delle tre istitutrici di Baby Love, una bella donna, molto provocante – benché nelle scene di sesso appaia parecchio impacciata: il che quadrerebbe poco con quanto racconta la Maiolini – che in seguito avrebbe fatto parecchia strada (in senso metaforico) ed è tuttora un personaggio di spicco nello show business italiano. Da segnalare tra i maschietti, invece, Agostino Crisafulli, più volte apparso nei film di Fernando Di Leo.