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Baby Driver – Il genio della fuga

2017
Titolo Originale:
Baby Driver
REGIA:
Edgar Wright
CAST:
Ansel Elgort (Miles alias Baby)
Kevin Spacey (Doc)
Lily James (Deborah)

Il nostro giudizio

Baby Driver – Il genio della fuga è un film del 2017, diretto da Edgar Wright

Un autista, parcheggiato davanti a una banca, si prepara alla fuga mentre la sua banda compie la rapina. Nell’attesa, si gode spudoratamente la musica alla radio ridicolizzando l’intera operazione criminale. L’idea frullava nella testa di Edgar Wright da tanto tempo e si concretizzò, seppur parzialmente, nel 2002, con il video musicale di Blue Song dei Mint Royale, girato con il team della serie TV Spaced. La stesura della sceneggiatura iniziò nel 1995 ma terminò solamente nel 2011. Proprio come Ant-Man (progetto al quale Wright teneva molto ma al quale fu costretto a rinunciare a causa delle troppe imposizioni da parte della Disney/Marvel), anche Baby Driver – Il genio della fuga ha avuto una lungo e lento percorso che ha finalmente raggiunto il suo traguardo nella sala cinematografica. Baby (Ansel Elgort) è l’autista dei rapinatori di banche. Da piccolo ha avuto un incidente d’auto che gli ha procurato un acufene, un fischio all’orecchio che è costretto a coprire con la musica nelle cuffie. Baby è obbligato a lavorare per Doc (Kevin Spacey), finché non lo ripagherà del suo debito. Nel frattempo, il ragazzo conosce Debora (Lily James), una cameriera di un diner della quale si innamora, ma i due non possono vivere la loro relazione finché il ragazzo non si presterà per il colpo più grosso insieme a tre spietati criminali: Buddy (Jon Hamm), Darling (Eiza González) e Bats (Jamie Foxx). Inutile dire che le cose si complicheranno. Bellbottoms dei Blues Explosion è l’ouverture che battezza la prima rapina e la conseguente fuga in macchina dei criminali. Alla guida, è Baby che la ascolta. Dopo questa sequenza, ha inizio un quasi classico film di genere ma anche un enorme tributo agli appassionati della “musica portatile” da Ipod. E una grande caricatura di quegli atteggiamenti inequivocabili che solo i drogati delle cuffie possono capire: il lip sync, ossia l’irrefrenabile voglia di andare a ritmo, e la mania di cercare sempre il brano giusto al momento giusto.

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Sebbene possa essere considerato il film più drammatico di Wright, Baby Driver – Il genio della fuga conserva tutta la spigliatezza e l’ironia che caratterizza il regista dai tempi della Trilogia del Cornetto (Shaun of the Dead, Hot Fuzz e The World’s End). Esattamente come i suoi predecessori, Baby Driver è un film di regia intesa come controllo totale delle immagini e delle sue successioni. Sono, infatti, montaggio e missaggio i collanti di un racconto che, narrato in altro modo, non avrebbe la stessa efficacia. Diversamente da un Goodfellas di Martin Scorsese (dove, anche lì, la colonna sonora è incessante e ben incorporata), la musica di Baby Driver non ha una funzione decorativa o stilistica, ma è un vero e proprio strumento di immedesimazione e di lettura di ogni singola scena. I brani si fondono con l’azione, sì, per darle ritmo e sapore, ma anche, e soprattutto, per restituire quella percezione che si ha quando si ascolta la musica con le cuffie e ci sembra che il mondo là fuori vada a ritmo. La totale sintonia con ciò che sente Baby (in assenza di musica, un leggero fischio risuona in sottofondo), trasforma il film da una favola musicale a un vero e proprio musical moderno, in cui la realtà vissuta dal protagonista è distorta ed enfatizzata. Dopo la prima visione, è difficile non avere voglia di andarsi a recuperare la tracklist, per riascoltarla infinite volte. Un particolare plauso va ancora alle scenografie di Marcus Rowland e ai costumi di Courtney Hoffman che, così congegnati, fanno da commento ironico e drammatico, spesso sottinteso, alle varie situazioni. Benché gran parte dei personaggi ricalchino alcune delle caratterizzazioni classiche dei crime movies, sono proprio lo sviluppo e l’esasperazione di queste caratteristiche che li rendono unici e di immediata empatia.

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Wright fa parte di quell’ondata di registi-cinefili amanti del genere e le sue contaminazioni sono sempre esplicite. Ha più volte dichiarato di aver preso a piene mani da quella che lui considera come la sacra trinità del thriller/action anni ’90: Le Iene di Quentin Tarantino, Heat – La sfida di Michael Mann e Point Break di Kathryn Bigelow (già omaggiato in Hot Fuzz). Se non fosse abbastanza, Baby Driver – Il genio della fuga  attinge da Punto Zero di Richard Sarafian, da Strade di fuoco di Walter Hill e persino dal più classico Driver – L’imprendibile (dello stesso Hill) per arrivare all’opera derivata di Nicolas Winding Refn, Drive. Cinema e musica, naturalmente. Non mancano, quindi, i riferimenti al mondo musicale, ovviamente, tramite gli Ipod di Baby ma anche con i cammei della cantante Sky Ferreira, di Flea dei Red Hot Chili Peppers e del leggendario Paul Williams (meglio noto come Swan di Il fantasma del palcoscenico). Innamorato delle proprie passioni, ma anche per le proprie storie, Wright non lascia niente sullo sfondo e, anzi, concentra il suo punto di vista sulle emozioni di ogni momento. Trovano la giusta aria il rapporto tra Baby, Doc e le sue bande, la relazione con Debora, il rapporto col padrino. Il fondale della storia è, invece, affidato a tutti quei piccoli dettagli e/o indizi visivi sul racconto che ci fanno sorridere quando li scopriamo alle visioni successive. Baby Driver, intelligente e divertente musical/crime movie (genere forse mai nato), si impone, ruggendo e sgommando, sulla programmazione cinematografica di questa stagione, già nella pole position dei nuovi cult.