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Athena

2022
REGIA:
Romain Gavras
CAST:
Dali Benssalah (Abdel)
Sami Slimane (Karim)
Anthony Bajon (Jérôme)

Il nostro giudizio

Athena è un film del 2022 diretto da Romain Gavras.

L’incipit di Athena, l’atteso film di Romain Gavras (figlio del gigante Costa-Gavras) è tra gli inizi più incalzanti ed esaltanti che il cinema francese di cronaca ha proposto negli ultimi decenni. Servendosi (a proposito) di un lungo piano-sequenza, il regista incornicia a dovere la vicenda della narrazione. Come nei più classici dei romanzi storici, il racconto segue le vicende di quattro fratelli, di presumibile origine algerina, attraverso i sobborghi della contemporaneità parigina. Ognuno di loro rappresenta un archetipo caratteriale, un’evidente citazione dei miti classici, ai quali si ispira il titolo. Athena è il nome fittizio di una delle tante banlieue parigine, fortezze degradate di una società francese che non ha ancora deciso di fare i conti né con il proprio passato, tanto meno con il suo presente. Abdel (Dali Benssalah), membro dell’esercito francese, in primissimo piano, annuncia la morte del fratello minore Idir, trovato esanime in un parco del quartiere. La polizia viene incriminata dall’opinione pubblica, lui ne fa parte. Il punto di vista si sposta sul volto rabbioso del fratello Karim (Sami Slimane, al suo esordio), confuso tra la folla della conferenza stampa. Egli accende una molotov che fa esplodere, letteralmente, il commissariato. Karim e l’esercito di ragazzi al suo seguito, fanno razzia di armi, indumenti e quanto di utile per poi dirigersi verso Athena, roccaforte cinta da cassonetti e rottami… Tra gli abitanti del quartiere, c’è Moktar (Ouassini Embarek), concitatissimo fratellastro dei tre, più preoccupato dei suoi traffici illeciti, che delle sorti del sobborgo. A circondare la banlieue, la polizia parigina, rappresentata, nel dramma, dal titubante neo padre di famiglia Jérôme (Anthony Bajon).

Il film si preannuncia una tragedia, e come dettano le Moire, per quanto molti eroi e regnanti ci hanno provato, non è possibile sfuggire al proprio destino. L’architettura di periferia, nata dalla necessità artistica di ricreare utopisticamente una solida società francese post bellica, forgiata dal sogno estetico di Le Corbusier, il quale esaltava l’estetica degli ingegneri rispetto a quella degli architetti, immagina la casa come machine à habiter, attraverso rigidi canoni funzionalisti. Le Banlieue nascono dalla crisi d’entusiasmo demografica che vede una Parigi voler accogliere il mondo a partire dagli anni Cinquanta; le Grands Ensembles. Un fallimento. Purtroppo la Francia, più di ogni altro paese europeo, soffre di una condizione collettiva di impianto guerrigliero. La tensione sociale si palpa anche sui Campi Elisi e Eurodisney, dove l’esercito pattuglia le strade che dovrebbero essere elegiache agli occhi inconsapevoli di un turismo spensierato. E invece si ha paura, si respira rabbia, disagio estremo ed incontrollato. Dal giardino dei tossici “zombie” di Stalingrad, nel cuore di Parigi, definito il supermercato europeo del crack, ai brutali attacchi terroristici rivendicati da Daesh in molte grandi città transalpine. Le forze politiche provano tutto e l’esatto contrario, e come in un moto uguale, appunto, e contrario, il risultato è l’immobilismo, la staticità di una situazione logorante.  Sono passati più di vent’anni dal film di Kassoviz La Haine (L’odio), eppure sembra un film girato ieri.

Gavras lo cita pure, servendosi di una delle sequenze più brutali del film. A differenza degli inglesi, i francesi non sono ancora riusciti ad occuparsi seriamente del loro scomodo passato colonialista. Questo vale per tutte le “fazioni”, se di fazioni, purtroppo, si deve parlare. E il film di Gavras lo evidenzia molto bene. Tutti sono colpevoli e tutti sono innocenti (un unico neo superfluo nel finale, purtroppo). Tutti vengono trascinati verso un limite ferale dove il baratro sembra essere l’unica via d’uscita. Anche il più docile e inconsapevole dei personaggi, Sébastien (Alexis Manenti), un incosciente giardiniere autistico, anima, forse, di una vecchia Francia diplomatica che, ignara, sta a guardare ai margini, rinasce dissennatamente, innescando bombe artigianali che distruggeranno tutto. L’elemento esplosivo, nel film, viene sovradosato intenzionalmente. Le molotov, i razzi, le sequenze circolari di accerchiamento (già proposte in alcuni bellissimi video clip di Gavras), il fuoco, fisico e metaforico, è l’elemento trainante del film. Athena del resto è la dea della sapienza che tuttavia si fa spesso fuorviare dalle vampate impulsive del suo carattere bellicoso. Il fuoco, alla fine, distrugge tutto e tutti.