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Assassinio sull’Orient Express

2017
Titolo Originale:
Murder on the Orient Express
REGIA:
Kenneth Branagh
CAST:
Kenneth Branagh (Hercule Poirot)
Johnny Depp (Samuel Ratchett)
Daisy Ridley (Mary Debenham)

Il nostro giudizio

Assassinio sull’Orient Express è un film del 2017, diretto da Kenneth Branagh.

È ormai risaputo che i grandi classici, indipendentemente dalle varie forme con cui vengono concepiti, diffusi e successivamente rielaborati, sono destinati a non tramontare mai. Pertanto, se si prova a prende una delle opere (forse l’Opera) più celebre di una delle autrici (forse l’Autrice) fra le più importanti della letteratura giallo – mystery anglosassone quale Agatha Christie e la si affida alle esperte mani di un regista (forse il Regista) di raffinata eleganza come Kenneth Branagh, allora il risultato non potrà che essere decisamente interessante e ricco di sorprese. Con la propria rilettura di Assassinio sull’Orient Express il cineasta di Belfast – considerato a ragione l’erede putativo del grande Lawrence Olivier – s’imbarca con evidente successo nell’azzardato e arduo progetto di riportare in auge un intricato e suadente whodunit integralmente ambientato negli angusti e lussuosi vagoni di un convoglio ferroviario, un kammerspiel di grande tensione che Branagh, nonostante una meccanica narrativa di base ormai ampiamente conosciuta, riesce a manipolare in maniera straordinariamente originale, soprattutto a livello estetico-formale. Quarta trasposizione filmica in ordine cronologico dell’ormai arcinoto racconto partorito dalla Signora del Giallo nel lontano 1934 – subito dopo la celebre versione del 1974 diretta da Sidney Lumet con protagonista Albert Finney, il film-tv del 2001 con Alfred Molina e il famoso episodio speciale del 2010 facente parte della serie tv Poirot interpretata da David Suchet –, Assassinio sull’Orient Express vede ancora una volta in azione il famoso investigatore belga Hercule Poirot (un istrionico Kenneth Branagh con due mustacchi decisamente improponibili), chiamato, suo malgrado, a prestare la propria celeberrima esperienza intuitiva per far luce sulla misteriosa morte del viscido affarista Samuel Ratchett (un Johnny Depp alquanto sottotono), assassinato con una serie ripetuta di coltellate a bordo di un treno proveniente da Istanbul e diretto a Londra, rimasto temporaneamente bloccato nel mezzo di una slavina.

In attesa dell’arrivo dei soccorsi, il detective si trova a indagare sulla vita privata degli impenetrabili passeggeri suoi compagni, tra cui spiccano la bigotta missionaria ispanica Pilar Estravados (Penélope Cruz), la principessa russa Dragomiroff (Judi Dench), il professore austriaco Gerhard Harman (Willem Dafoe), la rampante vedova Hubbard (Michelle Pfeiffer) e la giovane governante Mary Debenham (Daisy Ridley). Tuttavia niente è come sembra e una sconcertante verità attende di essere portata alla luce. La principale preoccupazione di Branagh non appare certo la pedissequa aderenza al romanzo di partenza, in quanto il suo Assassinio sull’Orient Express possiede abbondanti e rilevanti licenze poetiche rispetto alle precedenti versioni, conferendo a questa ennesima trasposizione il giusto equilibro fra classicità e necessaria innovazione. In primo luogo, il Poirot concepito e interpretato da Branagh appare totalmente differente dai modelli antecedenti, dando vita a una personalissima riscrittura in chiave dandy che lo fa apparire a tratti forse troppo schizofrenico e incoerente nel suo voler accostare, in maniera non sempre fluida e convincente, le bizzarre manie ossessivo-compulsive così identificative del personaggio letterario a profonde riflessioni etico-filosofiche incentrate sul senso della giustizia.

Tuttavia, il vero punto di forza su cui il cineasta batte con insistenza, dimostrando evidente padronanza del mezzo, risiede nell’elaborato impianto formale imbastito per l’occasione, il quale si avvale di un uso intensivo del formato in pellicola 70 mm – in realtà molto più incisivo nelle scene in interni, come in The Hateful Eight di Tarantino – e di un massiccio (e forse a tratti troppo invadente) impiego della CGI per creare suggestivi paesaggi da background teatrale. A tutto ciò si aggiunge, infine, una regia solida, ritmata e ricca di elaborate invenzioni visive, capaci di far respirare momenti di autentico cinema, alla maniera di celebri maestri quali Alfred Hitchcock e David Lean. Sfruttando appieno la potenza mitologica (e il corrispettivo richiamo di cassetta) di un cast pomposo infarcito di pezzi da novanta dello star system di oggi e di ieri – prassi comune già per il collega Lumet –, Branagh concepisce una personalissima visione di Assassinio sull’Orient Express, la quale, seppur con qualche ingenuità e numerose incoerenze diffuse (improbabili sessioni d’interrogatorio nei gelidi esterni nevosi, buffi inseguimenti alla Indiana Jones e tableaux vivants dallo smaccato gusto teatrale) appare a tutti gli effetti parte integrante e nuovo fondamentale tassello di una poetica filmica integralmente incentrata sul potere della rilettura dei grandi classici senza tempo, un sontuoso e coerente fil rouge che lega il passato al futuro mediante il potere icastico della parola scritta tradotta in immagini.