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As Boas Maneiras

2017
Titolo Originale:
As Boas Maneiras
REGIA:
Marco Dutra e Juliana Rojas
CAST:
Isabél Zuaa (Clara)
Marjorie Estiano (Ana)
Miguel Lobo (Joel)

Il nostro giudizio

As Boas Maneiras è un film del 2017, diretto da Juliana Rojas e Marco Dutra

Clara, un’infermiera introversa della periferia di San Paolo, viene assunta dalla ricca e misteriosa Ana per fare da tata al suo bambino non ancora nato. Clara è nera, povera, sola, lesbica e vive nella parte povera della città senza riuscire a pagare l’affitto. Ana è bianca, giovane, incinta, sola e vive in un bell’appartamento luminoso. Chi è il padre del bambino? Chi è Ana? E perché ha episodi di sonnambulismo nelle notti di luna piena? Le due donne si avvicinano sempre di più, si completano, si confidano, si prendono cura l’una dell’altra, diventano amanti, fino a quando… Non è certo facile trovare un film brasiliano (e non solo) con protagonista una giovane donna, nera e lesbica, ma i registi Juliana Rojas e Marco Dutra (entrambi del collettivo Filmes do Caixote) sentivano la necessità di raccontare questa storia di “buone maniere” dalla prospettiva di Clara (la bravissima Isabél Zuaa). In Brasile infatti esiste una tradizione di storie legate alla licantropia, che di villaggio in villaggio si tramandano e si trasformano (come gli zombi ad Haiti). Clara diventa così la testimone/protagonista di un horror lunare e duale (doppia e divisa in due). Nella prima parte, il registro del film è intimo, dedicato alla nascita del rapporto tra le due protagoniste in un mondo totalmente femminile (non si vedono uomini, nemmeno sullo sfondo, se non in un flashback in animazione). Clara e Ana devono imparare a cavarsela da sole: il mondo le ingabbia dentro a ruoli predefiniti, ma dentro di loro “qualcosa” cresce e scalcia per uscire.

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Poi c’è la città, il cui skyline – disegnato come il fondale di un vecchio film dove appaiono e scompaiono palazzi provenienti da tutto il mondo – cambia con loro. C’è una netta separazione tra il mondo della nera Clara (vie strette, case basse) e quello della bianca Ana (palazzi alti, ampi parcheggi sotterranei), diviso da un fiume, legato da un ponte ma esistente sotto la stessa luna. Ma As Boas Maneiras è anche una favola dichiarata con tanto di ecografia che mostra occhi grandi, mani grandi e piedi grandi di quel bambino che si prepara a mangiarci meglio. E così a metà film, a parto cruento avvenuto, l’horror si manifesta e da bravo licantropo muta forma in una fiaba. Clara ha un “bagaglio” in più, torna indietro sui suoi passi e ripassando il suo confine, trasforma il suo film che diventa un musical. Sorpresa! Una favola horror musical divisa in due, tanto assurda da diventare un racconto vero-simile su comunità e responsabilità, crescita e rispetto. Diceva Lord Chersterfield: «La buona educazione di un uomo è la miglior difesa contro le cattive maniere altrui» e infatti  stare con gli altri, compresi i licantropi, è una questione di buone maniere.

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Un vero gioiello questo film che nei suoi 135 minuti riesce a cambiare registro pur mantenendo una grande coerenza, alternando paura e commozione, tenerezza e durezza. Non una novità per i giovani registi Juliana Rojas e Marco Dutra che con il loro primo lungometraggio Trabalhar Cansa (Hard Labour) avevano già costruito un horror originale. Ma As Boas Maneiras si spinge oltre. Il racconto e la favola horror sono sostenuti da un lavoro di costruzione cinematografica che recupera le atmosfere noir degli horror classici della RKO, seppur aggiornandoli al mondo digitale della computer graphic. La luce usata in maniera espressiva, i fondali disegnati, un flashback animato, un bambino lupo vegetariano, eppure As Boas Maneiras è un film realistico sulla questione sociale (e femminile) in Brasile. Un film profondamente politico ma che ci usa le buone maniere di vestirsi da horror sanguinolento e ricco di suspense. Meritato vincitore del Premio Speciale della Giuria.