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Arkansas

2020
REGIA:
Clark Duke
CAST:
Liam Hemsworth (Kyle)
Clark Duke (Swin)
Michael Kenneth Williams (Almond)

Il nostro giudizio

Arkansas è un film del 2020 diretto da Clark Duke

A lot of people leave Arkansas, and most of them come back sooner or later. They can’t quite achieve escape velocity”. Inizia così Arkansas, con una citazione di Charles Portis, l’autore di True Grit, Il Grinta. Citazione perfetta, tra l’altro, e calza così a pennello che lascia sorpresi scoprire come l’ispirazione per il film non sia Portis bensì quel piccolo fenomeno cult di John Brandon. È suo, infatti, l’omonimo romanzo che Clark Duke ha seguito per esordire alla regia, scegliendo di raccontare un neo-noir rurale nel sud degli Stati Uniti, sorta di subcontinente sempre in bilico fra stereotipo, mito e realtà. Nel suo sottobosco criminale, dove negli anni sessanta a Biloxi, Mississippi, nacque la Dixie Mafia di Kirksey Nix, si muovono i protagonisti nella loro complicata, violenta e cinica incapacità di raggiungere, tornando a Portis, “la velocità di fuga”. Siamo tanto dalle parti di Elmore Leonard e dei suoi criminali, quanto da quelle di Tarantino e dei fratelli Coen, ispirazioni elevate che Duke non teme di palesare nelle radici narrative del suo film.

Non fraintendiamoci, non ci sono rimandi veri e propri, ma certamente è impossibile che in alcuni passaggi, e in molti dialoghi, non balzino alla mente quelle opere o quegli autori. E la storia che Duke racconta si presta al paragone: Kyle (Liam Hemsworth) e Swin (Clark Duke) lavorano per un boss della droga che non hanno mai visto, Frog (Vince Vaughn), operano come corrieri sotto l’occhio vigile di Bright (John Malkovich) e non tarderanno a dover far fronte alle complicazioni di un accordo andato storto. Sebbene non sia un campione di originalità, Arkansas, brilla di luce propria e la sua personalità riesce a farsi sentire in ogni piccola scelta. Duke e il suo co-sceneggiatore, Andrew Boonkrong, costruiscono un film dal carattere idiosincratico, che si muove lento, all’apparenza spingendo lo spettatore a prenderlo troppo sul serio, ma dimostrando minuto dopo minuto un fresco carattere da dark comedy. Tutto questo senza mai cedere il passo a una rappresentazione in qualche modo edulcorata, mite o smussata di ciò che racconta: Arkansas non lesina in violenza, sangue o volgarità, venendo peraltro supportato da buone performance, ma soprattutto da un Vince Vaughn eccezionale.

È il cinquantenne attore di Minneapolis che ruba la scena ogni qual volta appare, nonostante un Hemsworth che bravo così non lo è stato mai. Ecco dove davvero funziona il film di Duke, nei suoi personaggi dalle relazioni più ricche e complesse di quel che si può pensare a una prima occhiata e nel loro essere, sostanzialmente, delle persone nella media, vittime e carnefici della loro stessa vita. Aldilà di ogni difetto, di certo non siamo di fronte a un film perfetto o a un capolavoro, oltre a un ritmo frammentato e a qualche momento che funziona poco, Arkansas è in grado di divertire se si riesce ad accettare la sua eccentricità. Clark Duke riesce finalmente ad allontanarsi dai soliti ruoli in cui lo star system ama relegarlo e prende la sua strada, una strada che, sinceramente, sembra promettere davvero molto bene. Per il resto, in questo momento insolito di virus e cinema chiusi, Arkansas ha trovato una sua collocazione in streaming e, come ha detto lo stesso Duke: “Everybody’s already watched Tiger King on Netflix by now. They got to watch something, right?”. E come dargli torto?