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Are We Not Cats

2016
Titolo Originale:
Are We Not Cats
REGIA:
Xander Robin
CAST:
Chelsea LJ Lopez
Michael Godere
Michael Patrick Nicholson

Il nostro giudizio

Are We Not Cats è un film del 2016, diretto da Xander Robin

Cosa succede quando un tricomaniaco incontra una tricofoga? Non sappiamo se questa è la domanda che si è fatto il giovane regista americano Xander Robin quando ha scritto la storia di Are We Not Cats, ma di certo lo spunto è interessante. Inoltre il film, evento di chiusura della Settimana della Critica a Venezia 73, gli è caro, tanto da averlo sviluppato per il suo primo lungometraggio, dopo aver già realizzato l’omonimo corto nel 2013. Eliezer (Michael Patrick Nicholson) perde in un sol colpo lavoro, casa e fidanzata. I genitori si trasferiranno presto e non possono ospitarlo. Gli amici non sembrano collaborare. L’unica cosa che gli resta è un furgone con cui si improvvisa trasportatore, ritrovandosi dopo varie peripezie nel mezzo dei boschi innevati dell’Oregon. Lo stress lo ha indotto ad aumentare il proprio disturbo tricomaniaco che lo induce a strapparsi peli della barba, e proprio nel mezzo del nulla incontra una boscaiola/dj (Chelsea Lopez) con l’abitudine di strapparsi e mangiare i propri capelli. Parte così la più strana e grottesca storia d’amore vista di recente al cinema, consumata tra alberi, furgoni, peli, parrucche e tricobezoari (struttura solida formata da capelli, che si forma nello stomaco dei tricofogi). Rivoltante, ma anche grottescamente romantico, l’incontro tra Eliezer e Anya è quello tra due anime affini che condividono la passione per pianoforti particolari e una dieta segreta.

L’incontro, destinato a tirare fuori il meglio da entrambi, sarà però traumatico con tanto di indigestione pilifera, spari, coltelli e folli operazioni chirurgiche. Xander Robin scrive e dirige Are We Not Cats come a voler ricalcare “I dieci Comandamenti della Tricofilia” (esistono, online è possibile scovarli qui). Un dolce piacere proibito per i protagonisti, una disgustosa perversione per il resto del mondo, qui raccontati senza timori o giudizi. Eliezer e Anya sono così, prendere o lasciare. La messa in scena da classico indie americano low budget, aiuta il film alimentando la sua anima grottesca ma realistica. Lo stile è classico, chiaramente debitore del primo Paul Thomas Anderson, soprattutto Ubriaco d’amore, omaggiato con il minipianoforte. Interessante la scelta cromatica, sempre aderente allo stato d’animo del protagonista (davvero ottimo l’uso delle luci colorate). Le facce poi sono tutte al posto giusto, così come le azioni di Eliezer, continuamente costretto a trascinare cose pesantissime su percorsi impervi e impossibili.

Eppure, a un certo punto, il film sembra sfuggire di mano, perdendo l’effetto realistico, e trasformandosi in fiaba truculenta. È l’amore che irrompe e si tramuta in orrorifica presenza. La metafora per soli stomaci forti e cuori troppo sensibili è degna del più sadico Cappuccetto rosso: per iniziare una nuova vita bisogna “digerire” e “asportare” gli errori del passato. Tutto chiaro, anche fin troppo. Ma in fondo, come dice il decimo comandamento della tricofilia: “Prova sempre entrambi i ruoli quando incontri una persona che ama farsi accarezzare i capelli. Se in un primo momento sarai tu ad accarezzare, successivamente chiederai di essere accarezzato. Avrai così modo di sperimentare l’intera gamma delle beatificanti sensazioni”. Perché fare musica da soli è bello ma restrittivo: in due è più colorato. Basta buttarsi.