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Aporia

2023
REGIA:
Jared Moshé
CAST:
Judy Greer (Sophie Rice)
Edi Gathegi: Malcolm ("Mal")
Payman Maadi (Jabir)

Il nostro giudizio

Aporia è un film del 2023, diretto da Jared Moshr.

Ogni dilemma, per quanto ostico, necessita sempre di una qualche soluzione. Ma che succede se il suddetto quesito prevede non uno ben due possibili responsi, per giunta in contrasto fra loro? Beh, fossimo degli altezzosi intellettuali spaparanzati sotto il caldo sole della Grecia, probabilmente tireremmo in ballo il vecchio Socrate e la sua beneamata aporia. Ma poiché siamo solo umili e onesti spettatori, non possiamo che accontentarci del talentuoso Jared Moshr e del suo egualmente filosofico Aporia, il quale, attraverso l’intrigante formula di un indie sci-fi dal forte retrogusto esistenzialista, ci pone dinnanzi alla più classica e spinosa delle domande da un milione di dollari. Quella scottante e fondamentale domandina senza apparente logica – ed etica – via d’uscita che la disperata infermiera Sophie (un’intensa ed emotiva Judie Greer) si troverà costretta a porsi quando, all’indomani della sofferta morte dell’amato marito Mal (Edi Gathegi) in un tragico incidente stradale, un flebile quanto (fanta)scientifico barlume di speranza le verrà inaspettatamente offerto dalla miracolosa invenzione di Jabir (Payman Maadi), migliore amico del defunto compagno.

Pare infatti che il visionario ex fisico – sulle cui spalle da neo autista Uber grava il peso di un oscuro e doloroso passato – sia riuscito, non si sa bene come, ad assemblare una casereccia macchina del tempo composta da materiali di recupero e scarti elettronici, la quale, contrariamente alla lunga tradizione e al ben noto immaginario forgiato dalla fantasia di H.G. Wells, piuttosto che permettere il consueto via vai tra passato e futuro darebbe invece l’opportunità di eliminare dal continuum spaziotemporale cose e persone, con tutte le ovvie conseguenze del caso. Ed è qui dunque che la nostra Mal, schiacciata dal peso di un lavoro estenuante, dal vigliaccio richiamo delle bollette da pagare e dalla responsabilità di crescere da sola una figlia adolescente (Faithe Herman), dinnanzi a questo pericoloso deus in tempore machina si troverà a meditare, così come il granitico pensatore di Rodin, sul dilemma di tutti i dilemmi: ovvero se sia cosa buona – e soprattutto giusta – eliminare dalla faccia della Terra e del Tempo colui che causò l’involontaria dipartita della dolce amata metà, ripristinando il sacrosanto lo status quo, come se nulla fosse mai accaduto, per potersi così godere una spensierata vita alternativa.

Inutile dire che, dinnanzi a un annichilimento della logica e della morale come quello generatosi per spontanea combustione nelle viscere di questo Aporia, le terribili conseguenze a cui i personaggi tratteggiati con sapiente maestria dalla delicatissima penna e dalla minimalistica regia di Moshe andranno inevitabilmente incontro non potranno che sollevare ben più di qualche anonimo e superficiale punto interrogativo. Una fantascienza tutto sommato “ingenua” e pressoché ridotta all’osso quella in cui le emozioni e i dilemmi di questi atipici crononauti da salotto – anzi, da cameretta – si troveranno a sperimentare le nefaste conseguenze di un time delete condotto non con testa ma, il più delle volte, con la pacia e con il cuore; ritrovandosi di colpo – così come agli egualmente moralmente inguaiati protagonisti di quel piccolo gioiellino di sci-fi a costo zero che fu il cultissimo Primer di Shane Carruth – a dover fare i conti con i terribili paradossi di uno spazio-tempo che è, in realtà, più uno spazio dell’anima. Paradossi che, seppur attivati rigorosamente fuoricampo dai tasti di una vetusta consolle in odor di cyberpunk e da anacronistici terminali a tubo catodico così inevitabilmente kitsch, finiranno per produrre irreparabili conseguenze sul tormentato e contraddittorio presente racchiuso fra gli angusti quattro lati di ogni dolente inquadratura.