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Antebellum

2020
Titolo Originale:
Antebellum
REGIA:
Gerard Bush, Christopher Renz
CAST:
Janelle Monáe (Veronica/Eden)
Jena Malone (Elizabeth)
Eric Lange (Senatore Denton)

Il nostro giudizio

Antebellum è un film del 2020, diretto da Gerard Bush e Cristopher Renz.

È con un arditissimo pianosequenza che si apre Antebellum, attraverso il quale, in poco più di tre minuti, gli esordienti Gerard Bush e Cristopher Renz mettono subito ben in chiaro come stanno le cose: io bianco, tu nero, io padrone, tu schiavo. Allucinante e brutale per noi uomini e donne del ventunesimo secolo, assolutamente normale per il profondo Sud degli States in piena Guerra Civile, dove il colore della pelle basta a decretare chi domina e chi subisce, chi vive e chi muore. Tuttavia qualcosa non torna, e a farcelo notare ecco pronta la roboante colonna sonora di Nate Wonder e Roman Gianarthur, le cui disturbantissime note ci accompagnano per una mezz’oretta abbondante, durante la quale veniamo catapultanti in un ennesimo brutale universo razzista fatto di campi di cotone, nere mani insanguinate e tanta, tanta, ma proprio tanta diseguaglianza. È in questo mondo di disperazione che la povera Eden (Janelle Monàe) è costretta a muoversi e a respirare proprio come la Harriet di ben più alta fama, spaccandosi la schiena sulla nuda terra con la sola speranza che le cose possano un domani cambiare in meglio. Ma ecco che, improvvisamente, qualcosa accade. Un cellulare suona, riportandoci alla realtà, o almeno a quella che tale sembra. È stato tutto un sogno? Parrebbe di sì, anche perché la nostra, che ora si fa chiamare Veronica,  si rivela essere nientemeno che una scrittrice di successo, attiva, manco a dirlo, nell’affermazione dei diritti degli afroamericani in piena era Trump. Ma forse non tutto è come sembra, perché una serie di inquietanti e perturbanti indizi fanno intuire che le dure esistenze, quella dentro e fuori dal sogno, potrebbero essere compenetrate ben più di quanto non ci si immagini.

Non serve certo il monito di faulkneriana memoria che fa da prologo ad Antebellum a ricordarci che il passato non muore mai e che, anzi, a dirla tutta, non non è mai davvero passato. La stessa protagonista non può far altro che guardarsi attorno e intuire che, nonostante le certezze accumulate nel corso del tempo, qualcosa di pericolosamente sbagliato sta per piombarle addosso. Piccoli dettagli, nulla di più, come una carrozza sbucata dal nulla in pieno centro, quadri dal contenuto pericolosamente equivoco e sinistri personaggi che, come l’indecifrabile femme fatale Elizabeth (Jena Malone), sembrano appartenere ad un altro tempo e ad un altro luogo. Ed è appunto con lo spazio-tempo che il racconto gioca e rigioca, mettendo a confronto due piani di realtà apparentemente isolati fra loro ma che, come nelle migliori magie narrative del Westworld nolaniano, solo nel finale rivelano la propria corretta collocazione. Se infatti al principio tutto fa pensare a un’ennesima epopea di lotta razziale sul modello di 12 anni schiavo, nella seconda parte del film i cortocircuiti e gli sdoppiamenti interni al racconto riportano subito alla mente le dinamiche cervellotiche dei classici mind game movies da Jacob’s Ledder a Identity passando per Stay, nei quali finzione e realtà pescano vicendevolmente a piene mani.

Ma se fino a un certo punto, complice anche la presenza della bella Jena Malone, ci si può perfino spingere a tirare in ballo Donnie Darko e i suoi universi paralleli, è ancora una volta il provvidenziale squillo di uno smartphone a far cadere il velo di Maya e a rivelarci la realtà così com’è, in tutta la sua spietata e insindacabile crudezza, in un epilogo che, seppur forse intuibile ai più scafati, non perde un grammo della propria straordinaria forza critica. Intrigante, appassionante, crudele e profondamente politico, Antebellum è un film che si diverte un mondo a giocare con le nostre false certezze, tenendo abbondantemente impegnati neuroni ma al contempo risultando straordinariamente godibile, pur nella sua perturbante e malsana atmosfera di fondo. La stessa che d’altronde il produttore Sean McKittrick aveva a suo tempo preteso da Jordan Peele sborsando i pochi baiocchi necessari alla gestazione di Get Out. Senza dar vita a inutili confronti, basti dire che anche stavolta il risultato pare decisamente di alto livello, tanto sulla carta quanto sullo schermo, nonostante qualche rammarico per il mancato passaggio in sala. E proprio il grande schermo avrebbe ancor più giovato alla pellicola di Bush e Renz, coraggiosamente confezionata in formato panoramico come le grandi epopee d’altri tempi e intriso fino al midollo di tutto ciò che rende tale l’esperienza cinematografica. Ma pazienza, poiché i grandi film, quando sono tali, non badano certo alla dimensione delle cornici che li contengono.