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American Horror Story: NYC

2022
REGIA:
John J. Gray, Jennifer Lynch, Max Winkler, Paris Barclay
CAST:
Russell Tovey (Patrick Read)
Joe Mantello (Gino Barelli)
Billie Lourd (Dr. Hannah Wells)

Il nostro giudizio

American Horror Story: NYC è una serie tv del 2022, ideata da Ryan Murphy e Brad Falchuk.

Si è conclusa l’undicesima stagione della serie antologica American Horror Story, denominata questa volta NYC. Dopo la parzialmente deludente stagione 10, vi era molta attesa su come sarebbe andata a finire quest’ultima. Ambientata nella New York degli anni ’80, NYC ha come obiettivo innanzitutto quello di dimostrare che allora come oggi, nella nostra società così illuminata e progressista, la vita quotidiana è ancora un vero orrore per molti omosessuali, sebbene fosse anche peggio qualche decennio fa. Si percepisce però qui e lì anche un filo rosso di autocritica, come se si rivedessero alcuni errori da ricondurre al comune denominatore dell’auto-segregazione da parte della stessa comunità LGBT. AHS: NYC ci offre uno sguardo autentico sulla Grande Mela degli anni ’80, quando i gay dovevano incontrarsi in bar fumosi e parchi bui per evitare che la luce pubblica li punisse con il dito puntato e sguardi di disapprovazione. E poi se eri gay e lavoravi per la polizia, come il detective Patrick Read (Russell Tovey, un po’ troppo piatto e monotonoin questo ruolo), uno dei personaggi centrali di questa stagione, il quadro si complicava inevitabilmente. Parallelamente e in parte insieme al giornalista e fidanzato Gino Barelli (Joe Mantello, un debutto convincente nel cosmo di AHS), Patrick ha l’obiettivo di risolvere una serie di omicidi a sfondo omosessuale. Soprattutto all’inizio, la stagione sembra più American Crime Story, per quanto poco horror ci sia.

A tutto ciò si aggiunge il tema di un virus emergente, che riporta ai ricordi della pandemia in corso, che viene raccontato come un AIDS arricchito dell’esperienza del Covid 19 (le origini animali, le reazioni delle massa, quelle dei medici), così come l’aggirarsi minaccioso tra i luoghi prediletti dalla comunità gay di una gigantesca montagna di muscoli in una maschera di cuoio: “Big Daddy”. Quest’ultimo è sicuramente un’epifania di personaggio, il colpevole sempre ricercato ma che anche quando viene annientato e smascherato continua ad apparire, alimentando le teorie e le interpretazioni in modo vincente dall’inizio alla fine della stagione. Attraverso di lui si sviluppa uno dei pochi ma efficaci elementi horror di questo show, il tentativo di creazione di un essere umano risultante da parti diverse di cadaveri di omosessuali: un enorme riferimento a tanta letteratura gotica e di science fiction, Frankenstein in primis.
Il cast è mantenuto abbastanza fresco per gli standard dell’antologia della serie. Come nelle ultime stagioni, le star ormai affermate Billie Lourd e Leslie Grossman sono tornate, ma interpretano ruoli più secondari.

Proprio come quello molto riuscito di Denis O’ Hare. Zachary Quinto (Sam) fa un ritorno impressionante dopo essere apparso nelle prime due stagioni di American Horror Story e anche Isaac Powell, che è stato aggiunto nella stagione 10, è molto convincente come Theo. Il punto più delicato di questa stagione è che tutto si è trascinato troppo a lungo. Sebbene gli episodi di solito durassero meno di 40 minuti, alcuni vengono percepiti con pesantezza e probabilmente tutto avrebbe potuto essere raccontato in sei episodi. Vi è poi uno squilibrio tra le prime puntate, ricche di suspense e ben ritmate, dei veri gioiellini del genere, e le ultime, in cui ci si perde in visioni, allucinazioni e salti temporali che, nonostante alcune buone idee quali visualizzazioni, metafore, momenti emotivi o bella cinematografia, nel complesso sembrano non facilmente integrabili nell’opera. Come se lo show fosse finito dopo circa la metà degli episodi e tutto il resto non fosse altro che uno slogan senza fine (con buona pace della scena che ha per sottofondo musicale l’immensa “Radioactivity” dei Kraftwerk). Il doppio episodio del finale, in particolare, è solo una conclusione potente e astratta che però non sortisce, con ogni probabilità, gli effetti sperati. Peccato, perché leggendo tra le righe vi si trovano le storie di singoli personaggi e soprattutto viene svelata la vera origine del male.