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Allons enfants

2020
Titolo Originale:
La Troisième Guerre
REGIA:
Giovanni Aloi
CAST:
Anthony Bajon (Léo Corvard)
Karim Leclou (Hicham Bentoumi)
Leïla Bekthi (Yasmine)

Il nostro giudizio

Allons enfants è un film del 2020, diretto da Giovanni Aloi.

Esiste, oggi, una vasta fetta di cinema – parliamo in particolare di quello europeo – che si fa specchio e rielaborazione degli aspetti più scomodi della realtà, e lo fa ponendosi al confine tra vari generi e linguaggi. Ne avevamo parlato a proposito dell’ottimo neo-polar BAC Nord, che si colloca in una terra di mezzo fra il poliziesco e l’impegno sociale del seminale L’odio di Kassovitz, un film che ha fatto davvero scuola per opere più recenti come I miserabili, Enforcement e ACAB, incentrati sulla criminalità e le tensioni razziali delle metropoli, e sulle brigate della polizia deputate a combatterle. Prima d’ora, a memoria, nessuno si era invece soffermato su un’altra faccia della stessa medaglia: non più i poliziotti ma i militari, di fronte a un altro nemico, non più i delinquenti comuni ma i terroristi, sempre nelle città. Una piaga della società contemporanea ancora più scomoda e spaventosa, e che forse per questo nessuno si era preso la briga di raccontare, per lo meno non dalla parte dei soldati. L’ha fatto, e in modo pregevole, il semi-esordiente regista italiano Giovanni Aloi, che è andato in Francia a girare Allons enfants, di produzione francese e presentato a Venezia77, e il cui titolo originale La troisième guerre (“La terza guerra”) la dice lunga sulla minaccia con cui abbiamo a che fare. Scritto e co-sceneggiato dallo stesso Aloi, il film è ambientato a Parigi, ai nostri giorni, e osserva la vita quotidiana di un gruppo di militari addetti all’antiterrorismo: il loro compito è quello di sorvegliare in uniforme le vie della città, segnalare casi sospetti ed eventualmente intervenire.

Seguiamo in particolare la vicenda dalla prospettiva di una giovane recluta, Léo Corvard (Anthony Bajon), che pattuglia la metropoli insieme al più esperto soldato Hicham Bentoumi (Karim Leclou) e al sergente Yasmine (Leïla Bekthi). Da un lato c’è la vita disciplinata della caserma, dall’altro la tensione continua durante i pattugliamenti delle strade, alla ricerca di un nemico invisibile, una minaccia che potrebbe nascondersi ovunque ma anche non palesarsi mai. Le tensioni esploderanno tragicamente durante una manifestazione contro la polizia. Forse ancora più che il titolo patriottico affibbiato dalla distribuzione italiana, colpisce nel segno il titolo originale La troisième guerre, poiché ci mette di fronte alla realtà nuda e cruda con cui abbiamo a che fare: siamo in guerra, una guerra che non si svolge più nella forma delle due Guerre Mondiali (con le quali, tramite l’aggettivo “terza”, si pone in un’ideale continuazione), ma che è comunque un conflitto armato con due parti in causa. Una guerra combattuta in modo diverso, con un nemico più subdolo e invisibile, e che richiede perciò un nuovo esercito di combattenti: i nemici da affrontare non sono più i tedeschi o i russi, ma l’Isis, il Califfato, Al Qaeda, tutti di matrice araba ma radicati profondamente nella società occidentale. La Francia è forse lo Stato europeo che più di tutti ha sofferto gli attacchi terroristici, per cui Aloi probabilmente ha scelto non a caso l’ambientazione francese, con un film che se da un lato manifesta una certa dimensione patriottica – vedasi la scena (girata in un ottimo piano-sequenza) con i soldati che cantano la Marsigliese – dall’altro non rinuncia a mettere in mostra l’aspetto più inquietante dei militari che pattugliano le strade (per esempio, il fanatismo di Léo).

La regia non santifica l’esercito, anzi, ne mette in discussione la stessa validità, per bocca di una ragazza che si riferisce a Corvard chiedendogli dove erano il 13 novembre (la triste e sanguinaria data del 2015), come a voler attribuire una negligenza da parte dei militari nella prevenzione agli attentati. Il nemico è invisibile, e potrebbe celarsi ovunque: nel magrebino sospetto ma che si rivela un comune spacciatore, in una borsa, in una luce all’interno di un’auto, per cui i nervi sono continuamente messi a dura prova. Armati di mitra e in tuta mimetica, con uno spirito corporativo che – vedasi soprattutto le scene in caserma – puzza di fascismo lontano un miglio, proprio come i celerini di ACAB e dintorni, i personaggi si muovono per le strade di una Parigi spettrale, quasi irreale, e la macchina da presa li segue continuamente, con un tono da cinéma vérité ma al contempo senza mai allentare la tensione. Aloi realizza un climax fatto di falsi allarmi e vicende personali, destinato a sfociare nei violenti scontri di piazza fra polizia e manifestanti, con un esito tragico e imprevedibile. Un particolare rilievo va alla dura formazione – un coming of age – di Léo (il giovane e bravissimo Bajon, già apprezzato ne La Prière), affiancato da Hicham (Leclou, protagonista anche di BAC Nord) e dai superiori, ma non è per niente scontato neanche il contrasto fra esercito e polizia che fa capolino più volte.