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All My Friends Are Dead

2020
REGIA:
Jan Belcl
CAST:
Michal Meyer (Grzegorz Dabrowski)
Adam Woronowicz (Ispettore Kwasniewski)
Julia Wieniawa-Narkiewicz (Anastazja)

Il nostro giudizio

All My Friends Are Dead è un film del 2020, diretto da Jan Belcl.

 All’inizio sembra la più classica delle detective story basate su coppia eterogenea, il giovane dallo stomaco debole e il cinico navigato, che la mattina del primo gennaio in una Polonia innevata convergono su una splendida villa di periferia dove la festa di Capodanno è degenerata in omicidio di massa. Ma All My Friends Are Dead (quello che sussurra l’unica superstite prima che i paramedici la carichino sull’ambulanza) non è affatto un giallo, e basta l’esplorazione della casa fra impiccati che dondolano, misteriosi messaggi scritti su rotoli di carta igienica e distruzioni accidentali di prove, a instillare il dubbio che la scena del crimine sia anche quella di uno scherzo pesante, elaborato e di cattivo gusto. Giusto il tempo di accorgersi dell’equivoco – ci troviamo in una commedia – e inizia il flashback a rotta di collo che riavvolgerà le lancette fino alla sera prima, quando tutti erano vivi e vegeti e su quell’opera di action painting non c’erano spruzzi di vernice rossa..

 Secco, preciso e tirato a lucido, All My Friends Are Dead dell’esordiente regista-sceneggiatore Jan Belcl è a più livelli un ottimo esempio di prodotto medio Netflix: contenuti la durata e il dispendio di mezzi, confermata la valorizzazione globalistica di contesti marginali (la Polonia) e di creativi ancora bisognosi di farsi le ossa, annerite – pur con qualche inaspettata concessione a un male gaze da film liceale alla John Hughes – le mandatorie caselle della rappresentazione femminile, razziale ed LGBT. Tutto regolare, insomma. In più c’è la “folgorante” sequenza finale in cui per un attimo aumenta il voltaggio delle pulsioni sessuali, violente e umoristiche disseminate con finezza ma forse troppo garbo nella precedente ora e mezza, che neanche tanto paradossalmente ha l’effetto di rendere per contrasto un po’ smorta. In meno un certo gusto polveroso da postmoderno anni ‘90, fuori tempo massimo e senza la capacità trasformativa dei migliori eredi (Dan Harmon).

 Ibrido tardivo di varie linee genetiche di hangover movie, da quella sballata e nevrotica di Richard Linklater (La vita è un sogno) al parossismo della saga Scream passando per l’immancabile pellegrinaggio in zona Tarantino (fin dalla prima sequenza, che strizza l’occhio al capitolo “La cappella di El Paso, Texas” di Kill Bill vol.1), All My Friends Are Dead ripropone con più brio che genio la bulimia di riferimenti cinematografici e televisivi di quel periodo. I risultati migliori li ottiene dal bilancio fallimentare, adeguatamente sostenuto dall’ironia sempre a denti stretti, di un mondo totalmente mediatizzato alla cui discesa nella follia i media non sembrano più capaci di offrire risposte o vie d’uscita: mentre una ragazza balla al centro del salone persa nel mondo alternativo del suo visore VR, attorno a lei si ripetono momenti iconici del cinema popolare di tutti i tempi – la siringa di Pulp Fiction, l’“I’ll be back” di Terminator, la storia tra ragazzo e signora iniziata a un funerale di Harold e Maude. Il finale già lo sapete: a voi scoprire il come.