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Alcolista

2017
Titolo Originale:
Alcoholist
REGIA:
Lucas Pavetto
CAST:
Bill Moseley (Grey Speckled Man)
Gabriella Wright (Claire)
John Robinson (Trevor)

Il nostro giudizio

Alcolista è un film del 2017, diretto da Lucas Pavetto

Lucas Pavetto, noto per i suoi lungometraggi horror (The Perfect Husband), torna sul grande schermo con un nuovo thriller, scritto a quattro mani con Massimo Vavassori e interamente girato negli Usa. Alcolista è la storia di Daniel (Bret Roberts), alcolista che ha come unico e solo scopo di vita assassinare il suo vicino di casa. Presto la sua esistenza incrocerà quella di Claire (Gabriella Wright), operatrice di un centro per alcolisti anonimi, che della riabilitazione sembra avere fatto la vocazione della sua esistenza. L’intera pellicola ruota attorno all’afasica vita di Daniel, interpretato da un Bret Roberts che magistralmente catalizza l’attenzione dello spettatore: anche nelle poche scene in cui la telecamera non è puntata su di lui, nell’osservatore cresce il senso di angoscia dato dall’apprensione di non sapere cosa stia facendo il protagonista in quel dato momento. Il linguaggio emotivo di Pavetto si differenzia per la sua originalità e semplicità: rumorosi silenzi si contrappongono a urla di rabbia e di dolore; il tutto suffragato da cupe atmosfere di interni che si alternano a distese di grano e al candore del bucato bianco degli esterni.

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Alcolista non è retorico, né banale e quasi mai è contaminato da spiccioli tentativi volti all’auto-analisi o alla psicoanalisi. Pavetto si guarda bene dal correre il rischio di assopire la pellicola con pletorici patetismi e discorsi dalla roboante moralità. L’alcolista ha già raggiunto il suo punto di “non-ritorno”: per il resto della sua vita può solo limitarsi a sopravvivere arrancando. Non c’è la promessa di un paradiso terrestre, non c’è la velleità di una serenità da ritrovare, nessuna speranza di poter saltellare sorridendo su prati fatti di margheritine gialle raccogliendo le bottiglie di vodka di altri alcolizzati non ancora riabilitati. Copiose le inquadrature metaforiche che non necessitano di artifici e di acrobazie registiche. I tempi cinematografici sono ben tenuti e, nonostante la tematica, non si scade mai nel grottesco o nel patetico.

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L’ombra dagli occhi infuocati che spesso Daniel vede, frutto di inconsci tiri mancini che la sua infame mente gli regala, non è mai irreale e viene subito riconosciuta come lo spettro della rabbia da cui muove la sete di vendetta del protagonista. Senza indugiare nello spoiler si può affermare che il vero titolo del film è il suo sottotitolo: “certe dipendenze non hanno cura”. Con esso Pavetto ci consente di preconizzare il finale spianando la via a quesiti “irrisolti”: qual è la vera dipendenza dalla quale il regista vuole metterci in guarda? Quella dall’alcool, dalla rabbia, dalla sete di vendetta che, abbacinando chi la la avverte, offre una perversa raison d’être, o – più semplicemente – quella di dover a ogni costo, con ogni mezzo (anche se non previsto dal codice deontologico) salvare gli altri dalle proprie dipendenze? E tutto ciò che ripercussioni ha su noi stessi e su chi ci circonda?

 

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