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Abrakadabra

2018
Titolo Originale:
Abrakadabra
REGIA:
Luciano Onetti, Nicolás Onetti
CAST:
German Baudino (Lorenzo Mancini)
Maria Eugenia Rigon (Antonella)
Gustavo D’Alessandro (Detective)

Il nostro giudizio

Abrakadabra è un film del 2018, diretto da Luciano e Nicolás Onetti.

I fratelli argentini Luciano e Nicolas Onetti, dopo la parentesi nell’horror puro con Los olvidados (una sorta di Non aprite quella porta sudamericano), tornano nel genere che più li ha fatti conoscere a pubblico e critica: il neo-giallo, cioè quel filone che reinterpreta e rielabora i canoni del giallo/thriller italiano anni Settanta (Dario Argento ma non solo). Con Abrakadabra (2018) si conclude un’ideale trilogia che era iniziata nel 2013 con Sonno profondo e proseguita nel 2015 con Francesca. Scritto dai registi insieme a Carlos Goitia, continua nella strada iniziata coi due film suddetti, e anzi ne realizza una sorta di fusione: i meccanismi del thriller presenti in Francesca sono abilmente mescolati con il delirio onirico sperimentato in Sonno profondo. La vicenda inizia nel 1951 a Torino, quando il prestigiatore Dante il Grande muore durante l’esecuzione di un rischioso numero di magia. Trent’anni dopo, nella stessa città: il figlio dell’illusionista, Lorenzo Mancini (German Baudino), che ha ereditato l’attività del padre, si appresta a fare un tour insieme alla sua assistente Antonella (Maria Eugenia Rigon), ma il primo spettacolo è funestato dal brutale omicidio di una donna nel teatro. Mentre la polizia indaga e un misterioso individuo lo pedina, Mancini si trova coinvolto in altri efferati delitti che sembrano condurre a lui: nel tentativo di scoprire la verità, l’uomo indaga sugli omicidi e scopre verità sconvolgenti sul suo passato.

Abrakadabra è un thriller dalle connotazioni orrorifiche, ipnotico, frenetico e psichedelico, dove il giallo è costantemente pervaso dall’ombra della magia, che si palesa dalla dichiarazione iniziale (“L’arte di rendere l’impossibile possibile”) fino al terrificante e sanguinario sabba conclusivo. Se la coppia Cattet/Forzani, gli altri grandi autori del neo-giallo, rielabora artisticamente gli stilemi del thriller italiano in chiave sperimentale e moderna, i fratelli Onetti creano invece una mimesi perfetta del genere, tanto che sembra davvero di trovarsi in un film degli anni Settanta, come nelle loro opere precedenti: questo, grazie all’utilizzo di una fotografia vintage dai colori saturi e corposi, e a un’attenzione certosina nella ricostruzione di scenografie e oggetti d’epoca (vestiti, interni, telefoni, automobili, bambole, etc.). La regia è raffinata, in grado di alternare inquadrature più classiche con altre più originali: la camera a mano durante l’inseguimento al cimitero, gli split-screen, una prospettiva dall’alto su una piazza che riecheggia Profondo rosso, una scala dai colori primari un po’ hitchcockiana e un po’ baviana, Baudino inquadrato dal basso come Jack Nicholson nella cella frigorifera di Shining, il threesome deformato in immagini psichedeliche.

Ben costruite anche le coreografie dei delitti, con la suspense dettata nei tempi giusti e il sangue che scorre copioso: ricordiamo la donna trafitta dalle lame nella scatola del prestigiatore, la ragazza decapitata in casa con una ghigliottina, il vecchio avvelenato da un’iniezione, l’omicidio nella vasca da bagno con musica classica in sottofondo (forse un omaggio al Gatto dagli occhi di giada di Antonio Bido) e il rito diabolico dallo spiccato gusto horror. Non aspettiamoci però una soluzione vera e propria all’enigma. Infatti, se all’inizio la storia sembra seguire i canoni del whodunit classico, da un certo punto in poi, quasi senza accorgersene, lo spettatore è trasportato in un delirio onirico e volutamente anti-narrativo che richiama Allucinazione perversa di Adrian Lyne, un modello già utilizzato in Sonno profondo: Abrakadabra presenta una sceneggiatura complicatissima e spiazzante, un rompicapo a scatole cinesi, e il film è creato per essere più vissuto che compreso. Una componente fondamentale è infine la colonna sonora, composta da Luciano Onetti: come la fotografia, anch’essa è squisitamente vintage, con brani martellanti in stile Goblin e pezzi elettronico/psichedelici; se i titoli di testa sono accompagnati da una melodia pop in stile giallo lenziano, sui titoli di coda sentiamo invece una sorta di rielaborazione del tema principale de La polizia chiede aiuto.