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A dangerous method

2011
Titolo Originale:
A dangerous method
REGIA:
David Cronenberg
CAST:
Michael Fassbender (Carl Jung)
Keira Knightley (Sabina Spielrein)
Viggo Mortensen (Sigmund Freud)

Il nostro giudizio

A dangerous method è un film di David Cronenberg del 2011.

Nel 1904 il giovane psicoterapeuta svizzero e cristiano protestante Jung (Michael Fassbender) prende in cura una donna russa di origine ebraica, Sabina Spielrain (Keira Knightley), affetta da gravissime patologie. Il dottore applica le teorie psicoanalitiche, allora rivoluzionarie, e chiede aiuto a Sigmund Freud (Viggo Mortensen) sottoponendogli il caso. Sabina migliora, Jung si innamora di lei, Freud viene coinvolto in una “ronde” epistolare dove in palio c’è la sua stessa figura di mentore e padre della psicoanalisi. Da una pièce teatrale di Christopher Hampton, anche sceneggiatore, il film che David Cronenberg cerca di fare da anni, una specie di redde rationem con gli uomini e la donna (la stessa Spielrain diventerà psicoterapeuta di fama prima di essere uccisa dai nazisti) i cui pensieri da sempre nutrono il suo cinema, anche solo per essere rigettati. Ma A Dangerous Method, nelle sale italiane dal 30 settembre, non ha nulla a che fare con i pensieri, le stesse teorie freudiane vengono enunciate sommariamente, come fossero un a priori necessario ma non sufficiente.

È, invece, un thriller delle parole: quelle scritte e quelle parlate, i simboli vocali e grafici che veicolano la comunicazione, il tentativo stesso di codificare (attraverso libri, lettere, relazioni, conferenze, dibattiti, sedute: la prima conversazione tra Freud e Jung dura 13 ore) la temperie culturale di un’epoca in cui si cerca di razionalizzare l’irrazionale (i sogni) e si finisce inevitabilmente per soccombere alle pulsioni. Per Cronenberg è l’ennesima rivincita della carne: non nega il potere mutante della psicoanalisi, tant’è che Sabina entra in clinica con la bocca e le membra protese verso un oltre postumano, licantropesco, ma poi diventa il personaggio più equilibrato e onesto perché consapevole della propria vulnerabilità (Freud non si concede per non intaccare la propria autorità, Jung si crede Dio, lei è la M Butterfly della situazione). Tuttavia si arrende al furore dell’irrazionale, al quale le contraddizioni (memorabile il dialogo tra Sabina e Freud, dove la cultura ebraica dei tre – il terzo è Cronenberg – esce prepotente dopo essere stata fino a quel momento relativizzata) rendono gli uomini ancora più esposti. Jung cerca in buona fede di indagare il lato oscuro, Freud lo teme e lo esorcizza con la ragione, ma intanto il nazismo, evocato negli incubi, si prepara a sommergere l’Europa e i destini di tutti.

Un film denso e bello, senza se e senza ma. Nel 1904 il giovane psicoterapeuta svizzero e cristiano protestante Jung (Michael Fassbender) prende in cura una donna russa di origine ebraica, Sabina Spielrain (Keira Knightley), affetta da gravissime patologie. Il dottore applica le teorie psicoanalitiche, allora rivoluzionarie, e chiede aiuto a Sigmund Freud (Viggo Mortensen) sottoponendogli il caso. Sabina migliora, Jung si innamora di lei, Freud viene coinvolto in una “ronde” epistolare dove in palio c’è la sua stessa figura di mentore e padre della psicoanalisi. Da una pièce teatrale di Christopher Hampton, anche sceneggiatore, il film che David Cronenberg cerca di fare da anni, una specie di redde rationem con gli uomini e la donna (la stessa Spielrain diventerà psicoterapeuta di fama prima di essere uccisa dai nazisti) i cui pensieri da sempre nutrono il suo cinema, anche solo per essere rigettati. Ma A Dangerous Method, nelle sale italiane dal 30 settembre, non ha nulla a che fare con i pensieri, le stesse teorie freudiane vengono enunciate sommariamente, come fossero un a priori necessario ma non sufficiente. È, invece, un thriller delle parole: quelle scritte e quelle parlate, i simboli vocali e grafici che veicolano la comunicazione, il tentativo stesso di codificare (attraverso libri, lettere, relazioni, conferenze, dibattiti, sedute: la prima conversazione tra Freud e Jung dura 13 ore) la temperie culturale di un’epoca in cui si cerca di razionalizzare l’irrazionale (i sogni) e si finisce inevitabilmente per soccombere alle pulsioni. Per Cronenberg è l’ennesima rivincita della carne: non nega il potere mutante della psicoanalisi, tant’è che Sabina entra in clinica con la bocca e le membra protese verso un oltre postumano, licantropesco, ma poi diventa il personaggio più equilibrato e onesto perché consapevole della propria vulnerabilità (Freud non si concede per non intaccare la propria autorità, Jung si crede Dio, lei è la M Butterfly della situazione). Tuttavia si arrende al furore dell’irrazionale, al quale le contraddizioni (memorabile il dialogo tra Sabina e Freud, dove la cultura ebraica dei tre – il terzo è Cronenberg – esce prepotente dopo essere stata fino a quel momento relativizzata) rendono gli uomini ancora più esposti. Jung cerca in buona fede di indagare il lato oscuro, Freud lo teme e lo esorcizza con la ragione, ma intanto il nazismo, evocato negli incubi, si prepara a sommergere l’Europa e i destini di tutti. Un film denso e bello, senza se e senza ma.