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2067

2020
REGIA:
Seth Larney
CAST:
Kodi Smit-McPhee (Ethan Whyte)
Ryan Kwanten (Jude Mathers)
Sana'a Shaik (Xanthe Whyte)

Il nostro giudizio

2067 è un film del 2020, diretto da Seth Larney.

Anni fa si parlava di conflitto nucleare e futuro post-atomico, ora l’incubo definitivo è il riscaldamento globale. Si tratta di mode, dal momento che negli anni in cui uscivano film incentrati sui grandi funghi, era già chiarissimo e impellente il problema climatico (l’inizio di 2067 è emblematico in questo senso). In ogni caso, eccoci nel 2067 e ci si domanda perché proprio questa data. Di sicuro 1997, 2001, 1999, 1984, sono scadenze divenute emblematiche di un certo immaginario, ma più o meno tutte sono state scelte in modo istintivo, quasi poetico. Oggi suonano come un elenco di epitaffi alla civiltà occidentale piuttosto precipitosi e pessimistici. Sarebbe facile immaginare che le previsioni di Seth Larney possano risultare altrettanto lugubri e avventate nel 2080, anche se in tempi di epidemie e crisi internazionali gestite da nazi-capitalisti, si fatica a vedere così lontano e persino a scegliere di cosa preoccuparsi. C’è l’imbarazzo della scelta. Per dire, chi pensa più alla minaccia terroristica? Forse non siamo nemmeno certi che il 2067 sia una proiezione fattibile in termini di ottimismo. Ci arriveremo? Per il momento eccoci lì, grazie alla magia del Cinema. In un mondo senza ossigeno che vita sarebbe? Si tratterebbe solo di un nuovo livello di adattamento. Oggi passeggiamo con le mascherine chirurgiche e un domani andremo intubati a delle bombole portate che pendono dalle nostre spalle come zainetti. Di sicuro la media fisica di un mondo tanto compromesso potrebbe essere Kodi Smit-McPhee.

Pare uscito da un quadro di Egon Scheile. Avanza dinoccolato in un mondo che è un campionario di scenografie tra Blade Runner e Terminator. Nel film si chiama Ethan Whyte, che solo grazie alla Y messa quasi a far dispetto in un cognome fin troppo scontato, non ci domandiamo come mai i nomi dei personaggi non esprimano la sublime complessità di certi nuovi prototipi del patronimico stellare: Kodi Smit-McPhee, conoscete uno slogan anagrafico più affascinante nel mondo diegetico della fantascienza catastrofica? Sollievo che per una volta non ci troviamo a tifare per il solito iperproteico anabolizzante. Il volto scavato e foruncoloso di Kodi esprime una salute macilenta e anche una scarsa igiene intima. Ormai il nerd ha sostituito il Bruce Willis o il Ben Affleck di turno. Gli ingredienti da scuola di sceneggiatura ci sono tutti. Eccovi l’amore, la grande motivazione, il sotto-testo psicologico, l’azione, i grandi effetti speciali e una fotografia (Earle Dresner) che vira al verde Palmolive, come è di moda da un po’ di tempo in qua (High Life, Annihilation). Eppure, nonostante tutto questo, avrete poco. 2067 è australiano e non americano, quindi oltre la facciata da polpettone romantico e i viaggi nel tempo è un film molto più austero e intimistico. Dispiace solo che i tentativi di tingere le plausibili conseguenze della nostra deprecabile condotta ambientale finiscano sempre per compromettersi in una sequela di luoghi comuni sul futuro, rumoroso, immorale, senza luce, con macchinari impossibili e che comunicano con voci femminili anaffettive e vagamente sensuali.

Bisogna riconoscere le buone intuizioni di chi ha fatto il casting, che per qualche oscura ragione è sempre una donna. In questo caso ne abbiamo due: Kelly Valentine Hendry, Marianne Jade. Di loro sapremmo riferirvi ciò che potreste comodamente trovare andando su IMDB. Oltre l’antitesi eroica di Kodi/Ethan, bruttino e flatulente, come compagna non gli hanno messo al fianco una californiana vegana ma la filo-pachistana d’aspetto e sud-africana d’anagrafe Sana’a Shaik (Big-Bang Theory insegna) e la tutt’altro che avvenente donna di potere Regina (Deborah Mailman). Ciliegina sulla torta, il comprimario atletico e un po’ meno intelligente e più uomo d’azione accanto a Kodi non è necessariamente un nero, ma il bel Ryan Kwanten della serie vampiresca True Blood. 2067 non è un polpettone fanta-horror, di sicuro ha buoni colpi di scena e una recitazione credibile. Usa la morte del pianeta per parlare di conflitti famigliari irrisolti. Come a dire, in qualsiasi contesto l’ecosfera si involva, il più piccolo residuo umano sopravvissuto condurrà ancora una volta il creato nel gorgo antropocentrico delle proprie bagarre da lettino analitico, senza invece svelare nulla delle misteriose connessioni che possono esserci tra una donna e un fiore, un codice comunicativo primitivo che scaturisce dalla più complessa meccanica mai realizzata dall’uomo, la macchina per viaggiare nel tempo conduce un messaggio in stile Chaplin.