Lukas Moodysson. Ribellione, smarrimento e qualche risata

Intervista al regista svedese di Fucking Åmål e Together, ospite al Bergamo Film Meeting 42
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Si presenta al nostro incontro, appena arrivato a Bergamo dopo una prima tappa a Milano in cui ha visto la partita di campionato Milan-Empoli a San Siro, con un berretto da baseball e una giacchetta leggera (in città è spuntato il sole ma la temperatura appare lieve solo a lui, che ha sangue svedese nelle vene) sotto cui si nota una t-shirt dei Cure ( “Il mio album preferito tra i loro? Pornography“, rivela). Lukas Moodysson, classe 1969, un passato da poeta e romanziere prima di scoprire il cinema, è ospite dell’edizione 42 del Bergamo Film Meeting per la retrospettiva completa dei suoi lungometraggi (ci sono anche i tre corti d’esordio, mancano invece il documentario Terrorister e la serie tv Gösta) che dagli esordi di metà anni Novanta giungono fino ad oggi, all’anteprima di quel Together 99 (Tilsammans 99) che è il seguito del suo secondo film, Together.

Dopo l’esordio con la commedia sentimentale su due adolescenti innamorate, Fucking Åmål (Show me love), che nel 1998 in Svezia contese la classifica annuale degli incassi a Titanic e venne elogiato da Ingmar Bergman come “il primo capolavoro di un giovane maestro”, il tuo secondo film Together venne girato nel 1999. Era ambientato nel 1975, mentre Together 99 è stato girato tra 2022 e 2023 ed è ambientato nel 1999: una sorta di cortocircuito che riporta in scena quasi tutti quei personaggi, alcuni trasformati dal passare del tempo e altri coerenti con loro stessi, cresciuti/invecchiati in modi inevitabilmente diversi. Come sei arrivato a questa scelta?

Da diverso tempo stavo pensando di tornare su questi personaggi: quando li scrivi diventano reali per te e mi sono trovato spesso a chiedermi che fine avessero fatto, cosa gli fosse successo “dopo” la storia che avevo raccontato. Però è passato un po’ prima che io mi decidessi davvero a scrivere qualcosa… Nella vita di ognuno di noi arriva un momento in cui ci si rende conto che le cose successe trent’anni prima sono avvenute quando non eravamo più bambini ma già adulti: fondamentalmente tutto dipende dal fatto che si invecchia! Allora ho iniziato a chiedermi che persone eravamo, come eravamo diventati, se ero una persona come Eric nel film (che rinnega quanto detto e fatto in gioventù) o come Goran, che è rimasto sempre fedele ai suoi ideali.

Hai spostato l’ambientazione dal 1975 al 1999: cosa c’era di interessante in quel momento storico per te?

Mi interessavano poco gli anni Novanta, lo ammetto, ma ero attirato dal cambio di millennio, dal fatto di essere sul limite del 2000, con l’aspettativa di un nuovo mondo che sembrava dovesse aprirsi, una data entro cui fare un bilancio della propria esistenza. Agli attori piacerebbe molto, ne abbiamo parlato, fare un nuovo capitolo ambientato al giorno d’oggi: vediamo se saremo vivi tra vent’anni, però ammetto che sarebbe molto interessante. Oggettivamente il mondo in cui viviamo è un grande caos, mi piacerebbe per esempio raccontare il Covid con i vari personaggi tutti isolati, vedere come ognuno di loro ha avuto a che fare con quell’esperienza. Ma anche vedere come reagirebbero a Donald Trump presidente degli Stati Uniti… il mondo è un vero circo. Ci sono poi le tragedie che stiamo vivendo ora, Israele e Palestina, Russia e Ucraina: non so effettivamente chi ci sarà tra vent’anni, magari non sarò vivo io, ma vedremo.

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Rielaborare una propria storia dopo oltre due decenni, così come affrontare una retrospettiva come questa del Bergamo Film Meeting, è anche un modo per ripensare al percorso fatto e a ciò che si potrà fare in futuro, o no?

Non mi interessa fare un bilancio della mia carriera, sinceramente. Sono molto critico nei confronti del mio cinema e non amo ripensarci troppo, ma ho anche dei momenti in cui mi sento un vero genio! Tra i miei lavori, quelli a cui mi sento meno vicino oggi sono sicuramente Mammoth e Lilja 4-ever, sono stati importanti ma non li amo, in qualche mondo non mi sono sentito “a casa” facendoli. Credo sia perché sono stati fatti da qualcuno, io in quel periodo della mia vita, che pensava di sapere tutto. Invece non è assolutamente vero, non so tutto: preferisco gli altri, quelli fatti in un momento di confusione, questi due li cancellerei proprio. Anzi no, non li cancellerei. Ti racconto una storia vera: qualche tempo fa in Svezia ero in una pizzeria e mentre aspettavo ho dato uno sguardo alla Tv, era accesa e ho visto delle immagini che non ho subito identificato. Ho pensato immediatamente che fossero molto belle, ben girate… solo dopo qualche istante ho realizzato che si trattava di Mammoth… Quindi qualcosa di buono in quel film ci deve essere.

Otto lungometraggi in quasi trent’anni di carriera: ci sono altri personaggi che hai creato che sono rimasti “con te” e che vorresti raccontare nuovamente?

So che può sembrare strano e provocatorio, ma A hole in my heart credo sarebbe davvero interessante in questo senso. (Il film segnò una svolta inattesa e quasi sfidante per il pubblico dopo i primi due grandi successi e un terzo lavoro, Lilja 4-ever, molto cupo ma anche molto estetizzato: A hole in my heart racconta di un gruppo di persone che si chiude in un appartamento per girare un porno amatoriale, un’opera low-fi volutamente degradante sia per chi è ripreso sia per il pubblico, tra pornografia e immagini sinceramente difficili da sostenere, Ndr). Mi sono chiesto varie volte cosa sarebbe successo a quei personaggi: ripensandoci, oggi non sarebbe mai possibile finanziarlo, così come Container, anche se erano a bassissimo budget. Invece aggiornare un film come Fucking Åmål non mi interesserebbe perché credo sia concluso nel suo racconto, anche se (così come We are the best! del 2013) è l’unico legame forte che sento con la tradizione cinematografica del mio Paese, da sempre molto attenta alle storie che parlano di giovani.

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Together 99 è dedicato a Michael Nyqvist, prematuramente scomparso nel 2017, che nel primo capitolo interpretava il violento (e pentito) Rolf. L’attore è noto in Italia soprattutto per la sua partecipazione alla trilogia Millennium.

Non sono bravo in generale a mantenere i rapporti con le persone, e anche con lui non posso dire che fossimo rimasti amici. Ma un paio di anni prima della sua morte ci eravamo rincontrati fuori da una palestra, ci eravamo abbracciati calorosamente e avevamo iniziato a parlare molto di cose nuove da fare insieme. Ai tempi stavo scrivendo una pièce teatrale (che poi non ho realizzato), parlava di un padre e di un figlio e pensavo a lui per il ruolo del genitore. Quando ho saputo che era morto è stato molto, molto triste. Inizialmente mi ha bloccato anche nello scrivere questo film, ma poi in qualche modo mi ha ispirato: la morte di un personaggio poteva essere parte della storia, così come l’assenza dei bambini, ormai adulti, del primo film avrebbe potuto dire molto. Non potevo che dedicarlo a lui.

Dopo l’immediato successo dei primi due film, Fucking Åmål e Together, la cupezza di Lilja 4-ever e il controverso documentario Terrorister sui giovani svedesi incarcerati dopo le proteste per il G8 di Stoccolma, sono arrivate due opere difficili come le citate A hole in my heart e Container. Quest’ultimo fin troppo cerebrale, con la voce fuori campo di Jena Malone a raccontare in flusso di coscienza le immagini di “una donna nel corpo di un uomo” e riprese in bianco e nero. Poi l’esperienza negli USA per Mammoth, con Gael Garcia Bernal e Michelle Williams, un film forse troppo scritto per risultare “vero”. A quel punto la scelta di ripartire facendo qualche passo indietro, prima tra le tredicenni punk di  We are the best! e ora ritornando ai personaggi di Together (con in mezzo la serie tv Gösta).

Non so se si possa davvero chiamare ripartenza, e non so bene dire verso dove stia andando: è una cosa che ho chiara in testa ma che mi viene difficile spiegare a parole. Di certo questi ultimi due film hanno un tono, uno stile, una voce comune: non raccontano un’unica grande storia ma sono composte da piccoli pezzetti di vita, e poi hanno un mood rilassato nell’esporre le cose, nel combinare e mettere insieme stati d’animo e situazioni oniriche che vengono bilanciate con un tono da commedia. Poesia e commedia insieme sono ciò che gira nella mia testa in questo momento, in quella direzione credo di volere andare in questa fase della mia vita. Mi fai notare che il titolo del capitolo a me dedicato sul catalogo del festival qui a Bergamo è Ribellione e smarrimento: pensandoci, credo siano due parole adatte a definirmi. Lo so, non vale di certo per tutta la mia carriera, ma per il punto in cui mi trovo oggi aggiungerei anche la parola “divertimento”: quindi lo cambierei in Ribellione, smarrimento e qualche risata.

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