Liebes lager: un nazi fuori contesto

L’esperimento dello sceneggiatore-regista Vincenzo Gicca Palli sfocia in un eroSSvastika piuttosto lontano dai codici del genere
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È immediatamente evidente a ristudiare oggi i nazi italiani – mentre all’epoca nessuno ci avrebbe fatto caso e nessuno di fatto ci fece caso – quando un film ne ha dietro degli altri (il caso fin qui visto di Mattei e di Garrone con Ilsa) o quando invece va avanti per conto suo, è guida a se stesso. In parte per il nazi di Di Silvestro era così. Di certo lo fu per Liebes Lager di Vincent Thomas, alias Vincenzo Gicca Palli, vecchio sceneggiatore e regista – ma prima sceneggiatore che regista – di western e di pellicole d’azione, che negli anni Settanta passò a praticare i nuovi generi arrivati, tipo il decamerotico e poi il nazi, in cui evidentemente si trovava spaesato e fuori contesto. Infatti, se si guarda Primo tango a Roma, storia d’amore e di alchimia che dovrebbe essere un decamerone, ancorchè molto tardo, si rischia di essere fuorviati e di non capire bene cosa fosse il genere cui il film si salda. Idem per il nazi, Liebes Lager, che per anni è stato il più inafferrabile degli erossvastika, poi, quando gli abbiamo finalmente messo il sale sulla coda, abbiamo visto che con gli altri film congeneri c’entrava come i cavoli a merenda. Recita uno scorrevole, all’inizio: “I fatti narrati in questo film non sono mai successi, ma avrebbero potuto succedere. Perché in qualsiasi situazione, sotto qualsiasi regime, in qualsiasi clima, l’unione degli uomini per soggiogare le donne e farne oggetto, è immediata, spontanea, addirittura fatale. Sotto questo profilo, questo film vuole essere un simbolico omaggio alla donna, alla sua lotta per sottrarsi alla fallocrazia”. Di queste vocazioni filo-femministe Liebes Lager si scorda – dopo averle dichiarate – per un buon centinaio di minuti, fino a pochissimi fotogrammi dal termine, quando un soldato americano in avanscoperta assiste alla marcia trionfale delle ex prigioniere-prostitute del “campo dell’amore”, che in cima a lance, baionette e picche hanno infilzato, e recano come trofei, i cazzi recisi dei loro carcerieri-lenoni. La scena è uno dei rari momenti del film che attingono all’immaginario degli erossvastika: insieme alla visita delle nuove arrivate nel lager, con esplorazione rettale e vaginale – il taglio di censura italiano più consistente colpì in questo punto, mentre Kieran Canter “esaminando” una giovane finiva per deflorarla: non c’erano dettagli ginecologici, ma solo “turbamento” dato dalla situazione – e ai paraphernalia scenografici, che appaiono in comune con le due pellicole di Sergio Garrone, girate sugli stessi set, a Villa Mussolini, e utilizzando i medesimi costumi.

Perché, quanto al tenore complessivo del film, Liebes lager sembra piuttosto guardare a una certa commedia contemporanea. L’andamento è burlesco-satirico. E si può persino far credito a Gicca Palli di intenti graffianti andati a buon segno nella descrizione delle alte sfere tedesche che comandano nel campo di prigionia (dove sono rinchiuse mogli, sorelle e madri di ufficiali nazisti traditori). Luciano Pigozzi, ad esempio, è un maniaco teorico delle tecniche di impiccagione, sbertucciato da tutti, che finisce per soccombere comicamente alla sua ossessione; mentre Vanni Materassi a un certo punto, vista la mal parata e l’avanzare degli alleati, tenta di allontanarsi dal campo travestito nientemeno che da tirolese. Uscito in contemporanea a Sturmtruppen, per amore del paradosso ci si potrebbe persino chiedere se il surrealismo di Samperi e le facezie, che spesso tracimano nella barzelletta, di Gicca Palli fossero poi, nella sostanza, cose tanto dissimili. L’anima seria del film racconta, comunque, di un lager che gli ufficiali in capo – ormai disillusi dalla guerra e interessati solo a riempirsi le tasche – decidono di trasformare in un bordello per prigionieri americani. Tra i frequentatori del postribolo troviamo Jacques Stany, Mario Novelli e Adolfo Lastretti, che è il cliente più esigente e bizzarro, disposto a sborsare mille dollari pur di poter uccidere una giovane e bella ragazza “possedendola negli spasimi della morte” – lui e il tedesco che gli regge bordone avranno la peggio, impiccandosi mentre tentano di macchinare la faccenda a danno di una vittima. C’è anche una storia d’amore “pulita” tra Kieran Canter  e la ragazzina che ha sverginato durante la visita (che assomiglia a Brigitte Petronio, ma non è lei). E c’è la coda ecatombale in cui le puttane imbracciano mitra e pistole e prendono a falciare tutti quanti, clienti e magnaccia, senza distinzione alcuna. Delle ragazze, accreditate tutte con pseudonimo, si riconoscono solo Gota Cobert (che fa nudo frontale integrale), Maria Renata Franco e Barbara Lai.

Ragionando col senno dei cultori di adesso delle cose di questo genere, si conclude che il film di Gicca Palli è il più eccentrico dei nazi. Giudicandone da un esempio come questo, uno non arriverebbe mai a capire cosa possano essere i film di Mattei o di Garrone, che si possono e si devono assumere come i classici dell’erossvastika. Ad ogni buon conto, l’autonomia dell’immaginazione di chi metteva mano a questi film senza alcun background e nella piena libertà di ciò che andava realizzando, pagava: perché, pur non rispettando i codici che fanno di un nazi un nazi, Liebes Lager raggiunse quasi il tetto dei 300 milioni di incasso, e quindi aveva ragione Gicca Palli. Un altro esempio di questa capacità di introdurre uno scarto originale, il graffio, persino, dell’autore, lo ha dimostrato Cesare Canevari confezionando L’ultima orgia del Terzo Reich, al quale appiopparono in fase distributiva questo titolo di merda, ma che tutti quelli che ci lavorarono, dal regista in giù, citavano come Lieben Camp, che è quasi omofono e concettualmente anche omologo a Liebes Lager e per questo ha senso trattarne subito dopo, oltre che per il fatto che l’erossvastika di Canevari è l’ultimo del suo genere ad arrivare in censura alla fine del 1976, il 20 dicembre per l’esattezza, lo stesso giorno in cui veniva sottoposto alla censura il nazi di Mario Caiano La svastica nel ventre.