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Osvaldo, l’algoritmo di Dio

Autore:
Renato De Rosa
Editore:
Carbonio Editore

Il nostro giudizio

Renato De Rosa lo si potrebbe definire come un uomo rinascimentale. Laureato in matematica, presidente di una società di consulenza, attore e autore per i laboratori di Zelig, giocatore di scacchi e di bridge a livello nazionale, autore di un metodo di pensiero chiamato Free Mind e,  non ultimo, umorista e scrittore. Come minimo una mente poliedrica, in grado di misurarsi con profitto in discipline anche molto diverse fra loro. E si vede, leggendone l’ultimo libro dal titolo Osvaldo, l’algoritmo di Dio. Il romanzo è ricco, vulcanico, straripante di argomenti trattati con disamine acute ma leggere, profonde ma divertenti che godono di una scrittura fresca e scorrevole che rende il testo estremamente leggibile grazie anche a una vena umoristica che dà alla vicenda una leggerezza che si abbina sorprendentemente bene a una profondità filosofica per cui si sarebbe tranquillamente scusata una ponderosità che avrebbe avuto il suo senso ma che l’autore riesce a evitare con l’abilità di una penna talentuosa e consumata.

Chi scrive verrà forse contraddetto e forse addirittura vilipeso per quel che sta per dire, ma  Osvaldo, l’algoritmo di Dio è un romanzo di fantascienza, e lo è nel senso più nobile del termine, una storia profondamente filosofica, che non scende quasi mai nei particolari tecnici ed ermetici per concentrarsi sull’impatto del sapere umano sulla realtà e sulla vita dell’uomo stesso, in una ricerca profonda e cristallina di senso nell’ambito di una riflessione sulla responsabilità e sul libero arbitrio. E questo è solo il tema portante, perché le riflessioni nel libro sono molte, come molti sono i personaggi della vicenda, tutti con un senso, tutti con un peso, anche se fra tutte spicca la differenza fra scacchi e bridge come approcci alla vita.

Osvaldo, l’algoritmo di Dio è un romanzo che non si risparmia, né a livello narrativo, né a livello di contenuti. Forse chiude un po’ poco le fila del discorso, lasciando il lettore con una parte finale che avrebbe potuto essere un filino più consistente, ma non è un difetto che compromette l’economia di un libro nel complesso più che buono.