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Oliver Stone – tutta l’opera del watchdog del cinema

Autore:
Mirko Tommasi
Editore:
Shatter Edizioni

Il nostro giudizio

Le premesse sono chiare fin dal titolo. Oliver Stone – tutta l’opera del watchdog del cinema, di Mirko Tommasi, è un manifesto programmatico che esplicita fin dalla copertina la visione che l’autore ha del regista. Un cane da guardia, un intellettuale la cui opera profondamente politica lo porta a misurarsi con il potere con le armi della concretezza e della lucidità. Un narratore ma anche un documentarista, Oliver Stone è tante cose ma non un teorico. Il suo modo di fare politica, attraverso le sue opere, non si perde in discorsi astratti intorno all’ideologia ma dialoga con gli uomini che il potere lo esercitano ogni giorno ad alti livelli, discutendone le scelte e la visione del mondo, mettendo le mani fino al gomito nella controversia come quando ha sostenuto Ronald Reagan per poi criticare, anni dopo, Barack Obama. Un uomo che guarda ai fatti e non soltanto alle idee, in quanto anche di essi la politica è fatta.

Ed è la natura stessa dell’autore che rende l’approccio di Tommasi adeguato a studiarne l’opera. Oliver Stone – tutta l’opera del watchdog del cinema adotta in tal senso l’approccio di un editore con una linea ben precisa, Shatter, che pubblica testi che lasciano poco spazio alla teoria in senso stretto, studi fattuali che aderiscono ferreamente al concreto con analisi che partono dalle opere, da ciò che in esse e intorno a esse succede, dai film e dai fatti sui film. Un approccio fortemente orientato al concreto non per scarsa preparazione ma per una scelta ben precisa: il cinema è un’industria, una macchina che produce spettacolo e, se è vero che è impossibile oltre che insensato analizzare qualsiasi arte visiva prescindendo dai processi produttivi che la riguardano, ciò è vero in particolar modo per il cinema. L’opera di Tommasi parte dunque dalla scelta espressamente pragmatica di analizzare a tappeto tutta l’opera di Oliver Stone con una serie di schede che approfondiscono i suoi film. Uno per uno. In ordine cronologico. Lungi dall’inficiare l’unità della trattazione con una frammentazione che potrebbe apparire eccessiva, il lavoro di Tommasi si muove lungo una direttrice solida e precisa tracciando un ritratto coerente di un regista che, pur non fossilizzato nelle proprie convinzioni e aperto a qualche deviazione dalla strada maestra (per esempio Alexander, U-Turn), non perde mai di vista il suo canone, definito con grande chiarezza, non snaturandosi mai nemmeno nei film più divergenti rispetto a quelli che lo definiscono maggiormente.

Il volume è agile, molto più di quanto ci si aspetterebbe da un regista che ha sfornato classici (Platoon, The Doors, le interviste a Fidel Castro, Wall Street per citarne solo alcuni) con la cadenza di fuoco di una mitragliatrice, ma d’altra parte il volume, per la sua natura non accademica, non è rivolto agli studiosi ma ai completisti dell’autore che già ne conoscono bene almeno una parte cospicua dell’opera e ai neofiti che cercano percorsi per approcciarsi a una cinematografia imponente sia per numero di film girati che per spessore. Un’opera anti retorica per un regista anti retorico.