Le migliori serie tv horror del passato

La paura sul piccolo schermo. Horror, sci-fi e sceneggiati gialli: ecco i titoli da recuperare
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L’Horror arriva a compimento con il Cinema. Insieme forse solo al noir e in misura minore al western, è lui l’unico contributo strettamente cinematografico alle categorie dei generi narrativi. Precedenti ne esistono, ovviamente, dalla letteratura gotica di età romantica a quella fantastica di fine ‘800; ma è con l’invenzione della cinepresa che il racconto di paura trova la sua giustificazione in se stesso. A partire dai primi decenni del Novecento, l’Orrore si slega dal mondo letterario e letterale, e diviene avanguardia visiva. Rappresentare il non rappresentabile, dare corpo al sommerso e filmare l’irreale come sfida dichiarata alla normatività delle arti narrative classiche. Il Vampiro, il Licantropo e la Creatura (i quattro archetipi orrorifici codificati da Stephen King in Danse Macabre) esistevano certamente da prima del 1895. Ma sono  gli espressionisti tedeschi, i surrealisti franco-spagnoli e gli artigiani della Universal a codificare l’immaginario sovrannaturale di tutti i decenni successivi. Con il Cinema e il nascente studio system americano, l’orrore si democraticizza. Da strumento teorico delle arti letterarie diventa proprietà materiale richiesta, popolare e commercializzabile. E a partire dagli anni ’50, lo strumento primario per la commercializzazione dell’audiovisivo è ovviamente la televisione. In realtà, per adeguarsi al nuovo medium l’horror dovrà fin subito scontrarsi con una serie di restrizioni produttive e artistiche intrinseche. Nel dopoguerra americano, ciò che si può mettere in scena è ancora legato alle restrizioni del moribondo Motion Picture Production Code; e il concetto di “serie d’autore” è ancora lontano a venire. Fino almeno ai primi anni ’90, quelli di Twin Peaks e della HBO, di X-Files e The Kingdom, l’offerta horror televisiva vive allora come riflesso delle produzioni cinematografiche. Ciò che funziona tra le major, le reti lo replicano in scala minore per il piccolo schermo, mentre le derive più perturbanti offerte dal genere restano legate all’arthouse europea e al mondo dei comics. Ma rimuovere dal discorso critico quanto nato da questi anni di assestamento, equivarrebbe a negare le tappe che avrebbero portato al fatidico 1990. Inoltre, la capacità dell’intrattenimento di massa nel riflettere le dinamiche produttive e culturali che li hanno generati è ormai un campo di studi accettato e percorribile. L’horror televisivo, proprio perché popolare nell’accezione più livellata del termine, è una sonda fondamentale per storicizzare le paure più epidermiche del secolo breve. Ecco una lista di quelle che, secondo noi, sono tra le migliori serie tv horror – e dintorni – di tutti i tempi.

1 Alfred Hitchcock presenta (1955-1962)

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In principio era il cinema: il resto segua e si adegui. Come abbiamo visto, i primissimi prodotti di fiction televisiva esistono come riproposizione dei successi dello schermo; e negli anni ’50 nulla era di più potente a livello di marketing della figura di Alfred Hitchcock. Con apporto artistico del maestro inglese pressoché pari a zero, la CBS lanciò il prototipo di mezzo secolo di racconto antologico televisivo: episodi autoconclusivi, misteri whodunit di scuola britannica con risoluzione finale. Virtualmente, il primo approccio del pubblico con il sovrannaturale visivo, nel contesto rassicurante della salotto casalingo.

2. Ai confini della realtà (1959-1964)

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Se la serie CBS rappresentò uno dei primi “figli bastardi” del nuovo medium con il Cinema, è nel capolavoro di Rod Serling che l’embrione del racconto horror televisivo generò la sua prima forma espressiva pura. Ai confini della realtà (The Twilight Zone) conserva ancora oggi un’aura leggendaria, alimentata da decenni di remake, reboot, omaggi, adattamenti e parodie. Portata avanti quasi all’infinito, palestra per future leggende del genere (Richard Matheson su tutti), è però nelle prime due stagioni che viene cristallizzato il metodo-Serling: sovrannaturale di impostazione morale, allegorie fantastiche, orrori metaforici specchio delle nascenti società del benessere del dopoguerra. Un manuale tematico, cinquant’anni dopo ancora fortissimo nelle correnti del New Weird letterario e nell’indie horror americano.

3. Way Out (1961)

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Sulla scia del trionfo firmato Serling, gli anni ’60 sono un proliferare di horror e fantastico. Prima delle sempre più spinte derive camp e lisergiche di fine decennio, i prodotti in scia a The Twilight Zone provano a riproporne l’impianto, adattandosi sotto traccia ad una società in movimento. Oggi semi-dimenticata, Way Out rappresenta uno spartiacque fondamentale: come nel periodo dei registi tedeschi prestati al crime commerciale, di nuovo le avanguardie europee tornano a filtrare con gli studios. La serie, scritta e prodotta interamente da Roald Dahl in persona, è forse la prima serie d’autore della storia. Insuccesso immediato, bloccata alla prima stagione. Da ripescare.

4. The Outer Limits (1963-1965)

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Se la seconda metà degli anni ’50 parlava di gialli casalinghi e apologhi morali, a metà anni ’60 l’Occidente si ritrova ancora una volta ad affrontare stravolgimenti interni di natura sociale. The Outer Limits arriva allora come il fratello freak dell’opera di Serling: l’orrore non risiede più tanto nelle grettezze dell’animo umano, quanto in un Altro alieno, deformante, inconoscibile. Teorie del complotto, paranoia, mutazioni: la coscienza si allarga, la fantascienza irrompe nel mainstream e contamina il fantastico di nuovi scenari. I miniepisodi influenzeranno in maniera incalcolabile la controcultura del periodo, con effetti visibili a lungo termine. Vent’anni dopo, Alan Moore copierà ed espanderà notoriamente l’episodio The Architects of Fear, dando vita a Watchmen.

5. La famiglia Addams (1964-1966)

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Il decennio avanza, il mondo giovanile prende le distanze da quello paterno, la società si ritrova a riflettere in maniera via via più critica su se stessa. Se il nuovo orrore è quello fantascientifico e irrazionale di Outer Limits, di Kubrick e di Matheson, il vecchio horror gotico dei padri si tinge di camp. La Famiglia Addams, ma anche The Munsters, Dark Shadows, Vita da Strega: proliferano le sit-com, il post-moderno e il post-mortem dell’ormai superata e storicizzata dicotomia Hammer-Universal.

6. Il segno del comando (1971)

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Doverosa eccezione in una rassegna puramente anglosassone. Ricapitolare cosa visse l’Italia il termini politici, economici e culturali nella seconda metà degli anni ’60, in particolare nel biennio 1968-1969, richiederebbe altri cento articoli; di certo, l’esplosione dell’industria cinematografica si riflesse per pochi, inimitabili anni anche nella storicamente retrograda produzione televisiva delle reti pubbliche. Nel 1969 l’horror italiano scopre Argento, si gode la canonizzazione di Mario Bava ad opera dei Cahiers, gioca ad ibridare per la prima volta la sua tradizione cattolica con le nuove tendenze filmiche. Il segno del comando è lo “sceneggiato” (si diceva così ai tempi) di maggior successo del filone: ingenuo, rozzo, melodrammatico, ancora vistosamente lontano dall’avanguardia portata in sala dai contemporanei maestri del Giallo. Ma anche un perfetto esempio di ambiziosa produzione “di genere” Rai, per come l’avremmo imparata a conoscere fin troppo bene nei decenni successivi.

7. Mistero in galleria (1970-1973)

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Dieci anni dopo, il ritorno di Rod Serling. Allontanatosi da Ai confini della realtà per problemi di varia natura imputabili a diritti, fatica, insoddisfazione e limitato controllo creativo, alla fine dei ’60 il creatore della più importante serie a tema fantasy della storia torna sul luogo del delitto. Il clima è quello dell’evento annunciato: nei quattro anni di Mistero in galleria compaiono sullo schermo leggende passate (Vincent Price, Zsa Zsa Gabor, Edward G. Robinson) e future (Mark Hamill, Diane Keaton, David Carradine). Il tono è stavolta pienamente horror, tradizionalista e moderno insieme. Un classico istantaneo.

8. Kolchak – The Night Stalker (1974)

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Gli anni ’70 cambiano ancora una volta tutto: lo sguardo popolare si restringe, ere spaziali finiscono e gli incubi prendono la forma del panico urbano. Ridimensionamento del welfare state keynesiano, crisi energetiche e prime violente reazioni neoliberiste da parte delle élite americane sprofondano in pochi anni le metropoli occidentali in inferni di droghe pesanti, crimie e paranoia. In tv i tempi si scorciano, le sitcom infinite lasciano il posto ai film a puntate. Kolchak è il padre di decenni di indagatori dell’incubo e agenti federali del sovrannaturale: sbirro in una metropoli friedkiniana, affronta un rinnovato range di psicosi moderne (serial killer, possessioni, mutazioni genetiche) e saluta dopo appena un anno di episodi. Quanto di più seventies ci sia.

9. Un salto nel Buio (1984-1988)

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Finisce l’era della violenza, torna quella del fantastico. Come ogni vent’anni, le generazioni fanno il giro delle influenze, e tornano  verso i ricordi nostalgici degli anni formativi. Gli eighties di cui in questi anni abbiamo fatto il pieno furono a loro volta trasfigurazione nostalgica del pop anni ’50/’60, di cui recuperarono l’apparente spensieratezza fantasy, rigettando l’ossessione del decennio precedente per il realismo sociale e psicologico. Cos’era Creepshow se non la celebrazione di King e  George Romero per le bizzarre fiabe nere della Ec Comics; e cos’è Un salto nel buio (Tales from the Darkside) se non il proseguimento televisivo di quel film, con il demiurgo di Pittsburgh in produzione a battezzare la più classica emanazione del suo tempo.

10. I racconti della cripta (1989-1996)

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Arriva la HBO, e il cerchio si chiude: ciò che era stato bandito dalle televisioni trent’anni prima, ghettizzato negli odiati fumetti pulp e negli immorali filmacci grindhouse proiettati in double feature a mezzanotte (l’inno di Richard O’Brien in apertura al Rocky Horror Picture Show), fanno ora il loro ingresso trionfale nel mondo della tv via cavo. La rete privata lancia finalmente con lo spazio che merita il marchio epocale dei Racconti della cripta,  che debutta in tv per mano di quegli stessi ragazzi cresciuti su quelle pagine. E che ora fanno la coda per entrarci: da Brad Pitt a Tim Curry, da Steve Buscemi a Joe Pesci e Benicio del Toro, fino alle lynchane Isabella Rosellini e Sherilyn Fenn, in un neanche troppo nascosto passaggio di testimone.

12. Hai paura del buio? (1991-1996)

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Affrancatosi dai suoi stigmi commerciali e critici, l’horror può finalmente ricominciare in tv dall’inizi: con le serie per bambini. Gli anni ’90 vedono ormai il panorama del medium completamente stravolto dal proliferare delle reti private, i prodotti di esportazione, le videocassette e il via cavo. C’è posto per ogni cosa, i tempi dei codici e delle censure sono lontani. La canadese Hai paura del buio? è il paziente zero di tutti gli Stranger Things di oggi, con il suo mondo di provincia grigia, bambini soli e annoiati, e il sogno di un mostro nascosto nella casa in fondo alla via. Nel giro di un paio d’anni aprirà le porte a Piccoli brividi e, indirettamente, ad Harry Potter e a tutta la gloriosa stagione del fantastico per ragazzi.