La vera storia di Amber Heard

Una ragazza piuttosto complicata
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Alcuni avvenimenti ti cambiano la vita. A volte si tratta di una folgorazione, di un’ispirazione divina o quasi che ti permette di abbracciare la fede; in altre circostanze, c’è soltanto la negazione di questo presupposto, il dolore, la morte. Amber Heard, classe 1986, si colloca in questa dualità, in un crocicchio paradossale tra tendenze solo all’apparenza antitetiche. Anche lei ha avuto la rivelazione per la strada di Damasco, ad appena sedici anni. Niente manifestazioni ultraterrene, spettrali teofanie o alterazioni di coscienza. Una strada buia e notturna fa da sfondo alla vicenda, un incidente d’auto in cui il suo migliore amico perde la vita. Amber era fino ad allora una ragazza come tante. Texana di Austin, frequentava la St Michael’s Catholic Academy, prestigioso istituto retto dai migliori propositi educativi. La precoce dipartita è però il primo e vero contatto con il mondo esterno, occasione tragica e fortuita al tempo medesimo in cui mettere in gioco se stessi e le proprie convinzioni. Tutto questo si conclude con l’abiura della fede, un rigetto violento e radicale che non si limita all’allontanamento dal circuito religioso, ma investe l’intera sua esistenza. Determinandone scelte e in gran parte anche la carriera.

Amber abbandona la scuola, gli amici, gli insegnanti, le pie anime che tanto s’erano accapigliate per darle un futuro dignitoso. E d’altronde come potrebbe mantenere le apparenze, dopo aver commesso il sommo peccato? L’ateismo non è cosa da poco, perché si rinnegano gli alti principi, la verità rivelata, in altre parole l’intero apparato di simboli, gesti e rituali in cui era cresciuta. Al gran rifiuto, Amber antepone una scelta ossimorica e quasi contraddittoria. Da un giorno all’altro, fa le valigie e si trasferisce a New York, dove lavora come modella. Trascorre qualche tempo in questo ambiente, fino a quando decide di gettare la spugna. Complesse le ragioni, difficile cavare qualcosa dalle interviste, dalle biografie, dalle dichiarazioni. Frasi fatte, appiccicate col taglia e incolla della prevedibilità. La moda sarebbe luogo di corruzione e appiattimento, refugium peccatorum di talenti mancati.

E soprattutto, questa la vera colpa dell’industria del fatuo, catena di montaggio di vuoti manichini serializzati. La povera Amber s’è sentita usata, trasformata in oggetto accessoriale, inchiodata sulle riviste più glam come Maxim e FHM. Svuotata dell’anima che anche gli atei custodiscono e conservano gelosamente. Quella di Amber è a quanto pare tanto grande e sensibile, così la giovane preferisce Hollywood. Perché a Los Angeles l’industria dello spettacolo permette quell’elasticità, quella duttilità che nella moda è vietata. Sarà… Come tante altre attrici, Amber comincia la sua carriera in una serie televisiva. L’anno è il 2004, l’episodio fa parte di Jack & Bobby. La giovane stella brucia in breve le tappe. Tra ruoli, comparse, veloci camei, ottiene la sua prima parte cinematografica in Friday Night Lights (2004) di Peter Berg, con Billy Bob Thornton. Il 2005 è un anno denso di attività e di successi professionali. Dall’horror indipendente di Side FX si passa alla commedia Drop Dead Sexy (Michael Philip) per approdare al film di impegno sociale. Stiamo parlando di North Country di Nick Caro, in cui Amber recita accanto a Charlize Theron e Sissy Spacek. Ma Amber, che pure avrà abbandonato l’attività di mannequin, non rinuncia al vacuo, al corporale, all’esibizione di sensuali carni e venuste superfici. Nick Cassavetes le ritaglierà una parte in Alpha Dog (Nick Cassavetes, 2006), dove la giovane sarà impegnata in un triangolo amoroso (leggi orgia) con l’amichetta e il belloccio della situazione. Qualche giochetto erotico innocente, l’acqua di una piscina a edulcorare lo scandalo. Il promiscuo l’attira, accende in lei un fuoco segreto e impavido, un’energia che le fa spuntare gli artigli e la trasforma in una sfacciata baccanale.

The Informers (Gregor Jordan, 2009) pare il coronamento di questa tendenza, di queste pulsioni invereconde e ascose che dalle latebre della mente s’innervano nella sostanza pellicolare. Gregor Jordan il regista, Brett Easton Ellis il romanziere. Un nome, un programma. La storia è ambientata nei rampanti anni ottanta, nel mondo della musica, della cocaina, del crimine. E così l’angelica Amber, la sua bionda chioma, il corpo scolpito dalle diete, dall’allenamento, di nuovo è ridotta alla schiavitù dell’immagine, come etichetta hollywoodiana impone. Una servitù consenziente e compiaciuta, almeno a giudicare dalla possanza animalesca con cui cavalca gli stalloni palestrati che entrano nella sua vita. È lei che conduce il gioco, si spoglia, ancheggiando davanti al televisore, il suo fondoschiena divino che colma i nostri occhi di appagante desiderio. Ninfomane impenitente e drogata, ma semplicemente splendida. E che dire del suo foursome, efficace definizione anglosassone per indicare il quartetto erotico, al limite del pornografico? Non mancano saffiche effusioni, corpi ammucchiati, la lussuria che si sprigiona con spudoratezza per noi spettatori voyeur. Amber Heard ha raggiunto il culmine, la decadenza diviene poesia, il corpo svestito, ostentato, messo a nudo, come un divino carme, si offre. Ma non si pensi male.

Amber ha talento da vendere, un talento flessuoso, camaleontico, che le permette di identificarsi in ruoli anche più morigerati, come il teen movie “marziale” Never Back Down (Jeff Wadlow, 2008), la commedia Strafumati (Pineapple Express, David Gordon Green, 2008: politicamente scorretta ma pur sempre commedia) e il thriller The Stepfather (Nelson McCormick, 2009). L’horror resta però una pietra miliare nella sua filmografia, a partire da quel All The Boys Love Mandy Lane (Jonathan Levine, 2006) che, a dispetto del livello non proprio eccelso, fa il giro dei principali festival del fantastico. Per condurla a Zombieland (Ruben Fleischer, 2009) prima, nelle braccia di John Carpenter poi. Il regista di La cosa non è immune dal suo fascino, così decide di scritturarla per The Ward, ghost-story che l’ha vista nei panni nella disagiata protagonista. Ma Amber è sregolata anche nel privato, soltanto che è bella furba e, per quanto può, tiene tutto nascosto. Proprio in quegli anni si scopre un po’ lesbica, e comincia a frequentare la fotografa Tanya Van Ree che, udite udite, finirà per sposare. Certo il matrimonio gay non era ancora legale, ma la nostra ha fatto di tutto per vivere la sua storia come un matrimonio vero e proprio, arrivando persino ad acquisire il cognome della compagna. Quindi si presume che lei si fosse ritagliata la parte della donna, e l’altra del maschio dominante, l’esatto contrario di quel che eravamo abituati a vedere sul grande schermo.

Strana tipa, Amber, perché pochi anni più tardi, nel 2012, incontra Johnny Depp sul set di The Rum Diary (Bruce Robinson, 2009), tratto da Hunter Thompson. Un filmetto romantico, in salsa marittima, che però le fa mettere freno a tutte queste sperimentazioni sessuali, tanto che, galeotto il pirata dei Caraibi più famoso del pianeta, la nostra abbandona la fragolina per tornare, vorace e prepotente, alla banana. Il film è pudico, diciamocelo, c’è una sveltina in mare aperto, un tocca tocca abbastanza veloce sotto la doccia, e più non si vede. Ma Amber e Johnny convolano a nozze. Sono una coppia perfetta, pulita e romantica proprio come da tradizione hollywoodiana. Peccato che nel giro di qualche anno saltino fuori le magagne, soprattutto quando Depp comincia a metterle le mani addosso. Anzi, sono forse proprio le mani le uniche cose che non allunga. A sua modo la cosa è persino divertente, perché Amber l’ha denunciato per averle lanciato addosso il telefonino e/o una serie di oggetti con cui avrebbe pure sfasciato la casa. Nel caso specifico, una bottiglia di champagne (in rete si trovano persino le foto) brandita a mo’ di clava in giro per il salotto. Come abbia fatto la bottiglia a non rompersi mentre si schiantava sui mobili, è un mistero che nemmeno il Cicap riuscirebbe a sbrogliare. Comunque alla fine Amber ce l’ha fatta: nonostante le violenze subite, la rabbia, le frustrazioni, ha trovato il coraggio di dire la verità, di denunciare quel marito belluino all’apparenza tanto innocuo. Droga, alcol, tante piccole cattiverie del quotidiano. È questo che sono le star di Hollywood, appetitose come una torta alla panna quando sfiorate dal tocco del cinema, burine, capricciose e viziate nel privato.

Per fortuna Amber non si è dimenticata di noi spettatori, e nel frattempo ci ha regalato qualche piccola chicca hot. In Il potere dei soldi (Robert Luketic, 2013), Amber finiva a letto con quel belloccio di Liam Hemsworth, mentre in Machete Kills (Robert Rodriguez, 2013) si ritagliava la parte di Miss Sant’Antonio per spogliarsi di fronte a Danny Trejo. Ma attenzione, perché c’era la fregatura: appena apparivano le zinne, ecco che l’immagine si sfocava tutta. Senza occhialetti 3D, non c’era modo di vedere nulla. Meglio con 3 Days to Kill (McG, 2014), qui nella parte di una spia sexy e coi capelli neri. La scena hot? Lei che infilza Kevin Costner con una siringata di droga mentre sul palcoscenico di un elegante night due ballerine seminude lesbicano in allegra compagnia. Poi Magic Mike XXL (Gregory Jacobs, 2015), seguito del più famoso film di Soderbergh; The Danish Girl (2015) di Tom Hooper, una particina minoritaria, e infine The Adderall Diaries (2015) di Pamela Romanowsky. Il filmetto non rinuncia a qualche scena bella spinta con James Franco (culo di Amber in primo piano, perizoma nero e strizzata di chiappe, tanto per intenderci: ma soprattutto una cosetta nuova per la diva, il sadomaso con legacci e sigarette spente sulla pelle). Ma lasciamo spazio anche al gossip: i paparazzi non si sono fatti sfuggire l’occasione per fotografarla mentre pomiciava con quel belloccio di Franco. S’è ripresa in fretta dopo il naufragio con Depp. Che dire? La topa perde il pelo, ma non il vizio.