La piccola cineteca degli orrori: Scalps

Una delle più indecorose sceneggiature mai concepite da mente umana
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Non tutti possono vantare un titolo come Scalps nella propria filmografia. Nel senso che un qualunque cineasta sano di mente e con ancora un briciolo di dignità in corpo si guarderebbe bene dallo sbandierare ai quattro venti di aver pensato, scritto e filmato una robetta del genere. Ma il caro vecchio Fred Olen Ray, si sa, non è certo tipo da rinnegare nulla della propria sbarellata e prolifica carriera, prendendosi la responsabilità di ciascuna delle proprie folli e spesso indecorose creature di celluloide. Ed è per questo che del buon Fred si parla sempre molto volentieri. Certo, quasi mai in maniera lusinghiera a dire il vero, ma certamente con tutta la simpatia e il rispetto che si deve a uno strambo tipetto con il pallino del wrestling professionistico che, tra una scazzottata e l’altra in quella paludosa terra di mezzo che sta fra la serie B e la serie Z, è riuscito a scodellarci autentiche perle a costo sotto zero del calibro di The Alienator, Biohazard, The Tomb e, ovviamente, l’ultra (s)cultissimo Evil Toons, sul quale sarà cosa buona e giusta ritornare in separata sede. Ed è appunto all’Olen Ray primissima maniera che rivolgiamo oggi il nostro sadico sguardo, decenni prima che i dollaroni hollywoodiani portassero il nostro terrorista della macchina da presa a svendere del tutto il proprio ridotto talento in favore di tamarrissimi action movie popolati dagli imbolsiti faccioni di Steven Segal e Ice-T. Un tempo mitologico nel quale un soggetto di quattro righe scarabocchiato su un lercio foglio di carta, tanta colla vinilica e altrettanta divertita passione bastavano e avanzavano per confezionare un filmetto cotto e mangiato appositamente per i palati più pedestri. Ed è appunto con questo scapestrato spirito garibaldino, infervorato dal sacro fuoco della beata gioventù, che nel lontano 1983 l’ancora imberbe Fred – sulla piazza già dal 1971 con all’attivo tre filmi semi amatoriali come Demented Death Farm Massacre, The Brain Leeches e Alien Dead – decise di buon grado di accettare l’imbeccata dell’amico Donald G. Jackson per realizzare quello che, a detta sua, avrebbe dovuto essere nulla più che una pellicoletta quanto più possibile economica, la cui sceneggiatura, citiamo testualmente: “dovrebbe sembrare scritta da bambini di sei anni e contenere nient’altro che una station wagon e una tenda da campeggio”.

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Se dunque è vero che il valore di una persona lo si può facilmente intuire dalle amicizie che frequenta, l’essere stato intimo compagno di merende di un tipo del genere, così come di un brocco della Settima Arte come Jim Wynowski, diciamo pure non abbia giovato molto alla credibilità del nostro caro regista. Ma d’altronde ad uno come Olen Ray il giudizio degli altri interessa tanto quanto un vaso di porcellana ad una fiera del bestiame. Ed è appunto con questo sano menefreghismo da esordiente che il nostro Corman dei poverissimi, armatosi di tanto entusiasmo, una troupe ridotta all’osso formata per lo più da compari di sbronze, una manciata di attori da discount e poco più di 15 mila dollari di budget si preparò a dare il primo giro di manovella al futuro Scalps, con tutta la sacrosanta intenzione di mantenere ognuna delle laide premesse schiaffate nero su bianco all’interno delle pagine di una delle più indecorose sceneggiature mai concepite da mente umana. Girato nel corso di pochissimi giorni nelle desertiche lande dell’assolata California per essere in seguito rimontato a propria discrezione dai produttori della 21th Centiry Film Corporation – ai quali Ray e la sua combriccola avevano consegnato ogni singola briciola del girato, compresi scarti e B-Roll così da allungare quanto più possibile l’insipido e poco appetibile brodo –, nei suoi deliranti 83 minuti di durata Scalps ci narra le disavventure di un gruppetto di sei studenti di archeologia che, nonostante l’ammonimento del loro anziano e scafato professore (Kirk Alyn), decidono bene di compiere degli studi in un antico cimitero indiano alla ricerca di antichi manufatti, scoprendo tuttavia ben presto di averla seriamente menata allo spirito di un malvagio stregone che, senza se e senza ma, decide di possedere a tradimento il corpo del più imbranato del gruppo, portandolo a massacrare e scotennare a colpi d’ascia ciascuno degli incauti compagni. Nel mezzo di questo bagno di sangue, culminato in una delle più scellerate e al contempo scioccanti sequenze di decapitazione mai viste da occhio cinefilo, prede corpo una marcia e sovraesposta atmosfera da exploitation di terza visione, con interminabili minuti pieni zeppi di dialoghi che un branco di cani da caccia avrebbero certamente recitato in maniera più decorosa, un montaggio che pare imbastito da un cocainomane  e, ultimi ma non meno importanti, inserti subliminali di un non ben identificato volto mostruoso che, a detta del buon Fred, dovrebbe assomigliare allo spirito leonino del malefico sciamano ma che, a ben vedere, pare piuttosto una mascheraccia di Halloween da Autogirll.

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Se ci aggiungiamo una colonna sonora che farebbe le scarpe al più lisergico degli incubi cinematografici di Jess Franco e un malsano mood da produzione di quart’ordine inzuppato da un senso di desolata povertà di mezzi e di intenti, ecco dunque che Scalps mostra di avere tutte le carte in regola per apparire come un autentico film “maledetto”, laddove tuttavia non è dato sapere se tale maledizione sia quella che affligge i decerebrati personaggi sullo schermo o piuttosto gli ignari e vogliosi spettatori spaparanzati sul divano. Condito di tutti i laidi marchi di fabbrica dell’Olen Ray delle origini, il film venne originariamente distribuito nelle sale in una versione sforbiciata di cinque minuti in doppia visione accanto a quel piccolo capolavoro dimenticato di The Slayer del collega di sventure J.S. Cardone, senza tuttavia che la succulenta sequela di morti tanto imbarazzanti quanto creative che ne hanno garantito la notorietà popolare per i decenni a venire ne fosse minimamente intaccata. Insomma, un tale inaspettato e immotivato successo tra i poco raccomandabili frequentatori dell’underground orrorifico da ispirarne addirittura un rifacimento, Blood Desert, diretto nel 2004 da tal Stegath Dorr. E se per anni il nostro caro Fred ha continuato bellamente a prendere in giro i propri indemoniarti estimatori con un fantomatico Scalps 2: The Return of DJ che per fortuna non si è mai concretizzato, è indubbio quanto l’eredità di Scalps, nel bene e soprattutto nel male, abbia dato nutrimento alla debordante carriera di un cine-folle come Olen Ray. Colui il quale che, non dimentichiamolo, fra tutto il filmico male causato con ciascuno dei suoi 200 titoli ebbe tuttavia a suo tempo modo di riscattarsi e fare pienamente ammenda prestando a un giovane e scalpitante Quentin Tarantino quella leggendaria cinepresa 16mm con la quale il futuro padre del pulp postmoderno si sarebbe affacciato alla Settima Arte con il mitico e in parte perduto My Best Friend’s Birthday. E scusate se è poco!