La piccola cineteca degli orrori: Satan Claus

Storia di un indecente horror natalizio
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Solitamente a Natale si è tutti più buoni. Ciononostante è un’impresa davvero ardua giungere ai titoli di coda di Satan Claus senza provare l’incontenibile desiderio di piantare un grosso abete, completo di palline e puntale, dritto dritto nell’occhio di quello scellerato di Massimiliano Cerchi. Ancor più difficile è prendere coscienza di aver sacrificato un’oretta tonda tonda della propria preziosissima vita a dar credito al delirio cinematografico di un buontempone che avrebbe tanto voluto eguagliare i grandi capisaldi del christmas slasher quali Silent Night, Deadly Night (1972), Black Christmas (1974), Non aprite prima di Natale! (1984) e Christmas Evil (1980) senza tuttavia rendersi conto di aver solo contribuito a rovinare irrimediabilmente le feste a noi ingenui allocchi vogliosi di brividi forti anche sotto il vischio. È impossibile tuttavia non provare una sana e genuina simpatia nei confronti di un verace compaesano che, abbandonata la natia italica patria a inizio anni ’90 per cercar filmica fortuna nella terra dello zio Sam con in tasca solo quattro spicci, una scalcinata videocamera Video8 e una gran quantità di passione, ha dimostrato nei fatti di essere disposto a metterci la faccia e a sporcarsi le mani in prima linea come solo pochi altri, dimenticando tuttavia di mettere nello zainetto, affianco ai panini e al  passaporto, una cosuccia decisamente indispensabile che di nome fa talento. Ed è appunto solo nel paese delle mille opportunità e del Super Bowl che uno come Cerchi avrebbe potuto costruirsi una carriera imbevuta fino al midollo nella più laida e brulicante serie Z, avendo a disposizione nulla più che quattro chiodi e una biglia per tirare in piedi memorabili scult del calibro di Hellinger (1997), Carnage Road (2000), Holy Terror (2002) e l’ignobile Hellbilly (2003), arrivando praticamente indenne sino ai giorni nostri con una discreta fama all’interno dei sordidi circoli underground per finire, grazie all’implacabile legge del cinematografico contrappasso, a lavorare con gentaglia come Michael Paré e Nicholas Turturro. Ma torniamo a noi e al nostro malfamato oggettucolo natalizio del disonore, il quale costituisce nientemeno che l’opera seconda del caro Massimiliano dopo lo sverginamento filmico in terra americana avvenuto nel 1993 con il totalmente dimenticato Brainmaster. Passati infatti tre anni da questo poverissimo battesimo del fuoco, il nostro volenteroso regista, grazie alla scellerata collaborazione di penna della conterranea Simonetta Mostrada qui alla sua prima e per grazia di Dio ultima esperienza di sceneggiatura, decise di imbastire in fretta e furia un horror che avrebbe voluto richiamare alla ribalta lo spauracchio del Babbo Natale assassino, scegliendo quale sfondo della propria sanguinolenta vicenda una laida New York notturna che vorrebbe tanto somigliare alla sordida metropoli catturata più volte nel corso degli anni ’80 dalla maestria di Abel Ferrara ma che pare piuttosto un vicolo di Scampia senza i panni stesi e gli scugnizzi intenti a palleggiare.

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Ed è in mezzo a questo degrado urbano degno del miglior incubo di Ciprì e Maresco che, giusto in tempo per la vigilia della nascita del buon bambin Gesù, un ghignate pazzoide vestito da Santa Claus se ne va a zonzo armato di accetta ad accoppare chiunque gli capiti a tiro con l’unico insindacabile obiettivo di procacciarsi arti e frattaglie assortite con cui addobbare il proprio sbrilluccicante alberello. Nessuno ma proprio nessuno viene risparmiato dalla giocosa furia omicida del barbuto vecchietto, nemmeno l’amata moglie del capo della polizia incaricato delle indagini (Barie Snider) il quale, appresa la notizia della macabra dipartita dell’amata consorte, dopo un attimo di stordimento paragonabile a un principio di colite da indigestione di panettone farcito, se ne torna tranquillo e beato ai propri affari come se nulla fosse. A dover dunque far fronte alla natalizia moria che incombe sulla città sarà il giovane attore dilettante Steve Sanders (Robert Hector) accompagnato dall’amico Roy (Ken Morse) e dalla fidanzata in distintivo Sandra (Jodie Rafty), senza ovviamente dimenticare la man forte offerta dalla superstiziosa levatrice afroamericana Maman (Lauretta Ali) con il pallino del voodoo e del satanismo. Si perché, mano a mano che la questione si fa sempre più spessa e le telefonate del folle omicida di rosso vestito iniziano a piovere come nocciole sulla pasta del torrone, è logico intuire che qualcosa di decisamente più diabolico e ultramondano del normale attenda di essere spacchettato sotto all’innevato abete, pronto a far la gioia e il divertimento dei bambini più discoli e assetati di sangue. Questo almeno ciò che si può vagamente intuire riguardo alla trama di Satan Claus nel mezzo di un’accozzaglia di immagini immerse nella più immonda e indecifrabile oscurità, nella quale forme, voci e qualche sporadico colore si muovono disordinatamente senza permettere allo spettatore di capire una beneamata cacchiarola di cosa stia realmente succedendo. Esempio lampante è per l’appunto il tenebroso – nel senso di letteralmente immerso nelle tenebre – prologo, nel quale una vociaccia non meglio identificata sproloquia di satanassi e maledizioni per una manciata di minuti mentre un paio di mani spuntate fuori da chissà dove turbinano nell’aria senza che si possa dare un senso alla cosa. Se dunque le immagini in sé non appaiono poi così tanto evidenti, evidentissima è invece la totale incapacità di messa in scena sfoggiata dal nostro ancora inesperto Massimiliano, il quale imbastisce un montaggio tagliato con la stessa accetta sbeccata del killer protagonista, saltellando ignobilmente da un’inquadratura all’altra con la leggiadria di un troll di montagna e rendendo se possibile ancor più legnosi ed evidenti gli stacchi a membro di cane fra i vari fotogrammi a suon di fruscii e improvvisi cambi di volume.

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E parlando per l’appunto di audio, laddove l’occhio fatica a districarsi nel mezzo di ombre e buchi neri di assoluta mancanza di nitidezza, ecco che l’orecchio getta totalmente la spugna nel tentativo di carpire le poche confuse parole pronunciate dagli indecorosi personaggi con un’espressività degna di un bidone dell’immondizia e con la presenza scenica di un’asse da stiro, con il risultato di rendere incomprensibile ben più della metà di ciò che vien detto e sentenziato. Ma non certo per il fatto che il contenuto di cui si blatera sia particolarmente criptico o complesso, sia ben chiaro, ma semplicemente perché non si ha la minima possibilità di distinguere chiaramente un concetto più lungo di una sequenza di tre sillabe senza che il tutto ricada indecorosamente nel biascichio più molliccio e fastidioso. E se, in uno slancio di generosa e pietosa compassione, possiamo in parte sorvolare sul confusionario e pasticciato plot twist finale, vale la pena citare quella che è forse la più esaltante e al contempo tristissima delle scene che compongono questo filmico disastro, nel quale una bella ignuda pulzella viene hitchockianamente fatta a pezzi sotto la doccia di quella che si presume essere la sua abitazione mentre, in controcampo, alle spalle del Santa Killer compare invece in bella vista il sudicio muro di mattoni di un vicolo cittadino, innescando un cortocircuito visivo da cui può nascere solo una grassa e fragorosa ghignata. Tranquilli, si tratta solo di uno dei tanti scivoloni che quel terrorista della macchina da presa di Cerchi si diverte a disseminare nel mezzo del suo Satan Claus, dando vita a un’operetta dell’orrore dall’amaro retrogusto Natalizio, a onor del vero abbastanza stitica di vera pulsante emoglobina, confezionata all’ombra della più profonda inetta amatorialità e per questo a lungo sepolta al di sotto delle fredde nevi dell’oblio, il cui unico vero pregio risiede in un titolo che, ammettiamolo senza alcun imbarazzo, un po’ ganzo lo è di certo. Ma se vi state chiedendo se valga o meno la pena di lanciarvi alla disperata ricerca di un dvd o meglio ancora di una consumata VHS che vi permetta di allietare l’atteso cenone della Vigilia con questa deprecabile zozzeria stucchevolmente anni ’90, beh, il nostro consiglio è di indirizzare immediatamente i vostri interessi su di una bella fetta di pandoro con mascarpone e contorno di frutta candita. Tanto, a livello di pesantezza e bruciore intestinale, fidatevi che gli esiti non potranno che essere più o meno sempre gli stessi.