La piccola cineteca degli orrori: Ogroff

Novanta minuti di assoluta follia
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Fra le sgangherate righe di questa laida rubrichetta, a torto o a ragione spesso siamo soliti lamentarci della poca coerenza e assoluta inconsistenza di gran parte delle trame che danno corpo ai fetidi gioiellini di celluloide di cui tanto amiamo sparlare. Ma se mai esistesse un film per il quale l’espressione nonsense potesse calzare meglio di un guanto di velluto beh, diciamo pure che Ogroff sarebbe certamente quel film. Un titolo strano assai che forse non dirà nulla ai più, men che meno se sdoganato in lungo e in largo con la ben più succulenta denominazione di Mad Mutilator. E ancor meno potrà forse dire un nome come quello di Norbert Moutier, quasi totalmente sconosciuto ai seri e altezzosi frequentatori del cinema di serie A, ma vecchissima conoscenza per coloro i quali la Settima Arte la si può vivere appieno solo in profonda zona retrocessione. È lui infatti il francese pazzo, il leggendario “mago del Super8” divenuto famoso a cavallo degli anni ’80 e ’90 nei loschi ambienti underground europei grazie a pellicole di dubbia qualità, girate in fretta e furia e rivendute al costo di un pacchetto di m&m’s fra i sadici frequentatori della sua ben nota videoteca in quel di Orléans. Buttando all’aria infatti una promettente carriera da avvocato per seguire l’avventurosa vita cinetecaria, il nostro caro francesino iniziò, tra un cumulo di fanzine e parecchi cineclub, a covare il profondo desiderio di imbracciare finalmente una macchina da presa, dando così sfogo alla sua insaziabile vena cinefila nata, cresciuta e nutrita all’ombra del sozzo sadismo metropolitano di William Lusting e dei pruriginosi orrori gotici a costo zero di Jean Rollin. Furono sufficienti solo quindici anni e nove lungometraggi – tutti realizzati con un’estrema economia di mezzi e distribuiti direttamente per il più becero mercato dell’Home Video – per consegnare il nostro agli annali della cinematografia di serie Z, dandogli l’opportunità di regalarci perle di immortale bruttezza come Hemophilia (1985), Trepanator (1994) e Dinosaur form the Deep (1994), finendo addirittura per svezzare future glorie dell’horror francofono di bassissima lega come Jean-Pierre Putters, Quélou Parente e Christophe Bier.

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Ed è proprio con questo malfamato Ogroff che nel lontano 1983 il nostro caro vecchio Moutier, all’epoca ancora solo un vispo cinefilo quarantenne ghiotto di gore e baguette, decise di aprire le filmiche danze della sua malfamata carriera, scegliendo per l’occasione di dare una rapida occhiata al giovane marcio slasher americano figlio dei vari Hooper e Craven per confezionare in fretta e furia, con il supporto della sua fidata cinepresa Super8mm, una storia che definire bizzarra è decisamente il più gentile dei complimenti. Quanto potrà mai essere bizzarro infatti un serial killer boscaiolo in cappello di lana, camiciona di flanella e immancabile mascherone di pelle umana che, armato di mille taglienti e contundenti ammennicoli, si diverte a trucidare senza apparente motivo chiunque capiti nei pressi del suo ridente boschetto per una buona ora e mezza? Novanta minuti di assoluta follia durante i quali nessun vero dialogo viene mai realmente pronunciato, in una sequela di sbudellamenti, decapitazioni e variegate atrocità apparecchiate a favore di obbiettivo con una povertà e un’ingenuità tali da rasentare l’opera d’arte, tenendoci incollati allo schermo fino al sopraggiungere dei traballanti titoli di coda e ben oltre. Che le cose fossero già parecchio strambe lo si poteva intuire sin dalla delirante sequenza di apertura, nella quale un’intera famigliola da pubblicità del Mulino Bianco, dopo essersi perduta ai margini della brulla campagna francese, viene letteralmente falciata dal sopraggiungere del pazzo mutilatore seriale che dà il titolo a quest’allegra bracconata, il quale non sembra farsi alcun problema nel decapitare a tradimento il papino di turno per poi dedicarsi, a suon di grasse seghettate, ad evirare la testa del pupattolo superstite. Moutier mette dunque bene in chiaro fin da subito di non voler scendere a compromessi e di non accettare la ben che minima mezza misura, dando sfogo a un carosello di sangue, cervelli e budella da discount di quart’ordine che di trama e coerenza narrativa non ne vogliono sentir parlare nemmeno per sbaglio.

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Numerose sono infatti le ignare prede umane, quasi tutte del gentil sesso a dire il vero, che senza alcuna logica apparente finiscono fra le grinfie del nostro sanguinario boscaiolo dalla erre moscia. Alcune ridotte a una poltiglia umana dopo essere state pressate come conserva di pomodoro in uno scalcagnato furgoncino a suon di martellate, altre squartate fra le fresche frasche con un gusto da Fulci ultimo periodo e persino un povero masculo sgozzato come un maialino e destinato a insaporire con il proprio prezioso fluido corporeo l’emoglobinica brodaglia di cui il sadico serial killer in camicia a scacchi sembra cibarsi con gran gusto. Ed è proprio nel mezzo di questo delirante e insensato grand guignol privo della più elementare soluzione di continuità che fa la sua comparsa l’unica vera eroina della situazione. L’unica che, per i soliti strambi e insondabili motivi sui quali è ormai inutile sindacare troppo, finisce inspiegabilmente per intendersela in maniera intima con il caro pazzoide mascherato, dando vita a una sessione di petting particolarmente spinto mentre carcasse scuoiate e teste mozzate abbelliscono la catapecchia degli orrori che fa da sfondo alle luride nefandezze dei nostri infoiati birbantelli. Ma l’idillio dura poco, costringendo la bella di turno a darsela a gambe levate quando gli zozzi appetiti del nostro Leatherface francofono vengono sufficientemente appagati, portando quest’ultimo a ingaggiare un interminabile inseguimento in mezzo ai boschi che culmina, udite udite, con la strampalata comparsa di una manciata di improbabili zombie venuti da non si sa dove per fare non si sa bene cosa. E perché proprio gli zombie direte voi? Nessuno lo sa. Forse nemmeno lo stesso Moutier, impegnato com’è a gettare quanta più carne da macello possibile davanti all’obiettivo da dimenticarsi come serial killer e morti viventi difficilmente vadano d’accordo sullo schermo senza una valida ragione.

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Ma di ragioni valide Monsieur Norbert non sembra averne certo bisogno per far proseguire la sua filmica creatura, soprattutto quando un boscaiolo assassino e un manipolo di putrefatti omuncoli scongelati direttamente dalla scorta personale di Bruno Mattei iniziano a darsel di santa ragione peggio che in un Cinecomic pompato di steroidi. E in tutto questo gran bordello la nostra bella ragazzotta che fine ha fatto? Beh, mentre l’epica battaglia fra le forze del male (sic!) ha luogo nel mezzo di un tristissimo praticello che pare l’anticamera di un boschetto da spaccio, l’unica disastrata sopravvissuta, come nella miglior tradizione delle ben più avvenenti final girls d’oltre Oceano, tenta il tutto e per tutto invocando l’aiutodi un’automobile provvidenzialmente sopraggiunta, a bordo della quale viaggia tranquillo e beato nientemeno che un cardinale. Si gente, avete capito bene: un cardinale in carne e ossa. Nientemeno che la carne e le ossa del mitico Howard Vernon, con tanto di tonaca rosso porpora, zuccotto e crocefisso d’oro a diciotto carati. È lui infatti a prestare soccorso alla giovane scream queen d’oltralpe e a condurla verso la salvezza. Almeno così pare. Si perché, non appena la notte sopraggiungere e la bianca luna piena fa capolino fra le nuvole,  ecco che il nostro innocente prelato, che di licatropico non sembra avere proprio nulla, finisce per trasformarsi seduta stante in un vampiro assetato di sangue. Fine. Titoli di coda. Non serve essere presenti per immaginare anche solo un decimo dell’espressione che si starà dipingendo in questo momento sul vostro volto. Ancor meno immaginazione serve per poter intuire il mix di incredulità, sconcerto e impellente sadica curiosità che certamente avrà iniziato a frullare nel vostro cervellino assetato di cinematografica monnezza. E se siete davvero quel tipo di spettatori che non si fanno il ben che minimo problema nel buttare nel cesso novanta minuti della propria vita chi siamo noi per scoraggairvi dal rintracciare e visionare questo malfamato Ogroff? Che siano le gratuite lande di YouTube o una più che decorosa versione in DVD editata nell’ormai lontano 2012 da non si sa bene quale folle etichetta, è certo che l’opera prima – e per nostra fortuna non ultima – di Norbert Moutier continuerà a brillare ancora a lungo in quell’oscuro e sottilissimo sottobosco che separa il cult dal trash, dimostrando ancora una volta che, così come sosteneva il serio e dignitoso Glauber Rocha, in fin dei conti bastano una cinepresa fra le mani e un’idea nella testa per sfornare un bel pezzetto di cinema. Che si tratti poi di un pezzetto di scarto questo è ovviamente un altro discorso…