La piccola cineteca degli orrori: Black Devil Doll From Hell

Un bizzarro oggetto cinematografico non meglio identificato
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Finora da queste parti sono quasi sempre transitati orridi filmacci che, nonostante la loro oggettiva e patetica bruttura, un minimo d’identità cinematografica erano faticosamente riusciti ancora a conservarla. Giusto un minimo, sia chiaro. Ma stavolta, in barba agli ultimi scampoli di qual si voglia dignità, abbiamo deciso di scendere ancora più in basso, non limitandoci a raschiare il fondo del proverbiale barile ma bensì a sfondarlo del tutto. D’altronde, come ci ricorda quello sciroccato visionario di David Lynch, il cinema è un po’ come pescare: se rimani al sicuro a riva piglierai solo pesciolini, ma se hai l’ardire di addentrarti negli oscuri abissi ecco che il tuo amo aggancerà certamente qualcosa di grosso. Ed è dunque solo scendendo in questo insidioso multiverso di follia capace persino d’incrinare il ferreo aplomb del compassato dottor Stephen Strange che si ha la possibilità d’imbattersi in qualcosa di così allucinante come Black Devil Doll From Hell, bizzarro oggettucolo cinematografico non meglio identificato il cui livello di assurdità raggiunge vette così elevate da trasmutarsi alchemicamente in un autentico capolavoro del trash più spinto. Un prezioso capolavoro di bruttezza a ventiquattro fotogrammi al secondo, quasi totalmente sconosciuto in Italia ma reliquia ben nota al di là del freddo Oceano Atlantico, comparso per la prima volta fra i sordidi scaffali di quegli antichi templi una volta chiamati videoteche agli albori della mitologica stagione dell’home video. Correvano infatti gli anni ’80 quando, nel pieno dell’agguerrita Battaglia del Nastro Magnetico che vedeva gli eserciti del Betamax, della VHS e del Video8 darsele di santa ragione per accaparrarsi l’ambito monopolio del video-intrattenimento domestico, tutta una nuova generazione di aspiranti registi amatoriali  decisero di mettere le mani su alcune delle prime sgangherate videocamere ad uso e consumo del grande pubblico, imbastendo in fretta e furia imbarazzanti filmettini fai-da-te maldestramente registrati direttamente su videocassetta. Un’epoca decisamente folle, oggi assolutamente inconcepibile, dalla quale tuttavia ebbe modo di emergere uno strambo tipetto come Chester Novell Turner, sulla cui carta d’identità figurava la rispettabilissima occupazione di impresario edile ma che, a causa di motivazioni del tutto inconcepibili, decise di votarsi anima e corpo alla famigerata Settima Arte, senza tuttavia avere la minima idea di dove mettere le mani. Seguendo un economico corso di cinema per corrispondenza e racimolati ben 10.000 dollari di budget, il nostro ci mise appena tre giorni e mezzo per scarabocchiare la sceneggiatura di quello che sarebbe divenuto in seguito Black Devil Doll From Hell, accorgendosi ben presto però che quello che in un primo momento era stato pensato come un breve capitolo facente parte dell’antologia horror Tales from the QuadeaD Zone stava lievitando peggio dell’impasto di una focaccia pugliese.

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E così, dopo circa quattro anni di duro lavoro durante i pochi ritagli di tempo disponibili fra un cantiere e l’altro e continuando a sborsare denaro per una troupe totalemnte inesperta, al principio del 1984 il famigerato nastro maledetto era finalmente pronto per essere imballato e spedito in ogni dove, consegnando alla storia del cinema uno dei più ridicoli e malandati esempi di blaxploitation horror di tutti i tempi. Come ogni cine-schifezza che si rispetti, anche Black Devil Doll From Hell non può esimersi dall’aprirsi con un buon dieci minuti abbondanti di titoli di testa del tutto ingiustificati vista la natura casalinga della crew impegnata, il cui potere soporifero è reso ancor più penetrante dal gutturale sproloquio religioso di un ignoto predicatore la cui voce fa da sottofondo a questo insostenibile incipit. E non siamo neanche al primo quarto d’ora amici cari… Grazie poi ad una lunga ed estenuante panoramica di apertura veniamo introdotti, tra qualche traballamento di troppo e una manciata di zoom totalmente a caso, nell’anonima dimora di Helen (Shirley L. Jones, futura compagna del regista e sua prima e per fortuna unica musa), giovinetta afroamericana tutta casa e chiesa con il pallino di conservarsi casta e illibata sino al giorno del fatidico si. La classica brava ragazza insomma, la quale tuttavia fa il suo inaspettato incontro con la tentazione in uno scalcinato negozietto di antiquariato, nel quale spicca come un elefante in una cristalleria un’inquietante bambolina che pare la versione afro e decisamente male in arnese della futura Annabelle. Uno strano feticcio che, stando a quanto vien detto dall’equivoca proprietaria del locale nel corso di un dialogo nel quale le più fondamentali regole del montaggio vengono allegramente buttate alle ortiche, sarebbe in grado di esaudire ogni più recondito desiderio. Incuriosita la nostra protagonista decide dunque di portarsi a casa l’inquietante pupattola, senza immaginare che sotto la folta pettinatura dreadlocks della suddetta si cela nientemeno che uno scurrile e infoiatissimo spiritello, ben conscio di tutte le più piccole zozze fantasie che circolano nella candida mente della sua nuova giovane proprietaria. Ed è proprio durante un’innocua hitchockiana doccia che la nostra ignuda eroina subisce il primo infoiatissimo assalto da parte della malefica bambola assassina in odor di black face, animatasi improvvisamente – grazie a una performance da stutman decisamente naif del nipotino del regista – e pronta a sbuffare fumo verdastro dalle narici peggio del Rhaegal di Game of Thrones.

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Temendo di aver ceduto a nulla più che un’allucinazione tentatoria, Helen tenta di proseguire con la sua pia esistenza, tra interminabili incontri ciarlieri con il pastore del quartiere che ben semplificano le ignobili qualità recitative generali e altrettanto estenuanti camminate a zonzo al solo scopo di allungare quanto più possibile un minutaggio già di per sé risicato. Ma i pruriginosi assalti, per lo più notturni, della bambola non accennano a placarsi, con la nostra intenta a saggiare per benino ogni anfratto del nudo corpicino della povera protagonista con l’ausilio di una sbavante linguetta biancastra, dando vita a deliranti sessioni di autentica violenza carnale pericolosamente al confine tra hard e soft core, il tutto all’ipnotico grido di battaglia di “Bitch! Bitch! Bitch!”. Un mantra che indurrà la già fragile Helen ad abbandonare ogni residuo di pudicizia e tradire i suoi stessi frigidi ideali in nome del più sordido erotismo, almeno fino a quando la bambola del piacere non scomparirà nel nulla per poi rispuntare inspiegabilmente nel negozio da cui era venuta. Rientrata in possesso ancora una volta del diabolico oggetto, la nostra ormai compromessa anti-eroina andrà incontro a una morte terribile e improvvisa, liberando dunque la pupattola del Diavolo per un nuovo ignaro possessore. Giunti a questo punto non ci sono davvero parole. O meglio, ce ne sarebbero eccome, solo che non è certo questa la sede per esprimerle in tutta la loro scurrile pienezza. Anche perché, volenti o nolenti, nel corso degli anni Black Devil Doll From Hell è riuscito a conquistare gli occhi e i cuori di una nutritissima schiera di estimatori, più che mai galvanizzati dallo scoprire che il creatore di questo loro amatissimo filmaccio, dato erroneamente per morto in un incidente automobilistico nei tardi anni ‘90, allo scoccare del nuovo millennio era ancora più che mai vivo e vegeto, abbandonato nel frattempo il set per tornare ad imbracciare sega e martello, del tutto ignaro della fama di regista “maledetto” nata e cresciuta attorno al proprio nome. D’altronde, con poco meno di 6 dollari intascati per ogni videocassetta smerciata, il povero C. N. Turner aveva dato per morta e sepolta la propria carriera cinematografica, mai pensando di poter virtualmente vivere di rendita – quantomeno a livello d’immagine – grazie a un innocuo scherzetto naif messo insieme con quattro stracci, uno sputo e tanto tanto politically uncorrect. Se volete davvero farvi del male, e soprattutto se riuscite a scovarlo da qualche parte, questa è certo la suprema fetecchia che fa per voi: calda, fumante e fragrante come poche il nostro fiuto è riuscito sinora a scovare per voi.