Ipotesi di complotto

Il cinema americano della paranoia cospirativa
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Un complotto se è buono è anche indimostrabile: se lo puoi provare, qualcuno di loro deve aver fatto casino strada facendo – Loro chi? – Loro, non lo so, per questo vengono chiamati Loro”. In questo dialogo tratto da Ipotesi di complotto è contenuta l’essenza del filone che vogliamo esplorare: il cinema americano della paranoia cospirativa, un cinema che pullula di complotti, nemici invisibili e manie di persecuzione. Esistono vari filoni che esplorano tutte le possibili forme di complotto, spaziando tra i generi più disparati quali il thriller politico (a cui è dedicato questo articolo), il thriller tout-court, la fantascienza e persino l’horror. Il primo regista a mettere in scena la paranoia socio-politica è stato probabilmente John Frankenheimer negli anni Sessanta – con Va’ e uccidi, sul lavaggio del cervello da parte dei comunisti, e con Sette giorni a maggio, su un tentativo di golpe negli States. Ma è negli anni Settanta che il genere cospirativo conosce la sua massima espansione, come manifestazione di un vastissimo sentimento sociale. Sono gli anni successivi al delitto Kennedy, gli anni dello scandalo Watergate, gli anni della guerra in Vietnam e delle menzogne di Nixon, gli anni successivi allo sbarco sulla Luna, un periodo controverso in cui al nemico esterno della Guerra Fredda (i russi) si è aggiunto un nemico interno più subdolo: la CIA, i servizi segreti deviati, gli intrighi politici interni, il controllo sulle masse. Nasce un qualcosa che è diverso dal semplice film di spionaggio, qualcosa di più sporco, paranoico e ossessivo, dove l’individuo si smarrisce in inquietanti scatole cinesi ed è sottomesso a quelli che oggi chiameremmo poteri forti. Si sono cimentati in tal senso registi impegnati come Coppola, Pollack e Pakula, ma vi sono anche film outsider come Azione esecutiva (il primo film sul delitto Kennedy) e Sindrome cinese (sulla grande paura del nucleare), accanto a thriller eccellenti quali Blow Out e Osterman Weekend. C’è chi ha trasposto sul grande schermo i misteri della Storia, e chi ha messo in scena racconti di finzione, ma sempre aderenti alla realtà; c’è chi ha puntato di più sull’impegno, chi più sullo spettacolo, chi su entrambi – come farà Oliver Stone alcuni anni dopo. Il cinema cospirativo non si è esaurito infatti negli anni Settanta, ma ha continuato a essere parte integrante del cinema e della cultura americana, riprendendo vecchi temi o aggiornandoli con i nuovi eventi, fino ai nostri giorni: l’11 settembre ha generato varie teorie complottiste (ricordiamo Fahrenheit 9/11 e Zero Dark Thirty), e anche gli scandali più recenti come Snowden e Wikileaks (Il quinto potere) hanno trovato un’ampia risonanza. Di seguito, una selezione di dieci film che abbiamo ritenuto particolarmente esemplificativi di vari periodi, registi e tematiche.

La conversazione (1974) di Francis Ford Coppola

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Il maestro della New Hollywood dirige quello che è un po’ il film simbolo e inauguratore di tutto il filone dei paranoia-thriller. Non siamo ancora specificamente nell’ambito politico, ma La conversazione è un capolavoro essenziale e propedeutico per tutti i complotti successivi. Protagonista è un esperto di intercettazioni (Gene Hackman) che deve sorvegliare la moglie di un potente uomo d’affari, finendo per scoprire un omicidio. L’opera di Coppola è asciutta e minimalista, ma di grande impatto, costruita come un thriller e con un’attenzione quasi feticista per gli strumenti del mestiere. È forse il film che riflette più di tutti la paranoia sociale di quegli anni, mettendo in scena agenzie private che sorvegliano i cittadini, e ponendo domande quali: intercettare le conversazioni è etico e/o legale? E dai privati cittadini alla politica il passo è breve, come viene esplicitato nella vicenda. Al centro c’è un mondo di intercettazioni ambientali e pedinamenti, e lo stesso personaggio di Hackman è paranoico e con manie di persecuzione.

Perché un assassinio (1974) di Alan J. Pakula

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Con il film di Pakula entriamo di prepotenza nel thriller cospirativo di matrice politica, formando un ideale trittico con I tre giorni del Condor e Tutti gli uomini del Presidente. Al centro della vicenda c’è un giornalista (Warren Beatty) che indagando sull’omicidio di un senatore scopre l’esistenza della Parallax Corporation: una misteriosa organizzazione che esegue omicidi politici per conto di frange deviate del governo. Il protagonista risale sempre più in alto nei livelli dell’agenzia, rimanendone vittima, e segue una catena di delitti che la regia traduce in un crescendo di suspense, fino al lungo attentato finale. C’è un uomo comune di hitchcockiana memoria che rimane coinvolto in intrighi più grandi di lui, ma la paranoia è squisitamente seventies: i nemici sono interni agli States, e i riferimenti sono i delitti dei due Kennedy. Le scenografie danno un coté geometrico, vagamente astratto, ma il tutto è tremendamente reale. Notevoli anche i momenti con la Commissione (Warren?) immersa nel buio.

I tre giorni del Condor (1975) di Sydney Pollack

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Un thriller gigantesco, entrato nell’immaginario collettivo come il film che ha rivoluzionato il genere spionistico. Pollack si affranca dalle avventure accomodanti e semi-umoristiche di James Bond per ritrarre la faccia più sporca dei servizi segreti e degli States. Condor (Robert Redford) è un agente della CIA che lavora presso una sede deputata a ricerche e analisi: un commando di killer elimina la sua squadra, e lui, salvatosi per puro caso, deve rintracciare i colpevoli per sopravvivere. Come è noto, l’intrigo si cela all’interno della stessa CIA, dove una frangia deviata è in lotta per il controllo del petrolio. Per la prima volta nello spy-thriller americano, il nemico è interno ai servizi segreti, dunque allo Stato: bene e male sono concetti relativi, è impossibile distinguere fra buoni e cattivi, come emerge dal memorabile dialogo finale. Fra agguati, pedinamenti e intercettazioni, il semplice impiegato Condor risale ai vertici dell’intrigo, narrato per mezzo di una regia incalzante e rigorosa. Da antologia anche il personaggio del killer (Max von Sydow), uno fra i migliori “mechanic” della storia del cinema.

Tutti gli uomini del Presidente (1976) di Alan J. Pakula

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La seconda incursione di Pakula nel filone è uno dei più celebri e riusciti thriller politici di sempre, che mette da parte la fantapolitica per dedicarsi alla Storia. La vicenda è tratta dall’omonimo libro dei due giornalisti del Washington Post, Woodward e Bernstein, che nel film hanno i volti di Robert Redford e Dustin Hoffman: indagando sull’effrazione al Watergate, sede del Partito Democratico, scoprono una rete insospettabile di spionaggio interno che porta fino al Presidente Nixon. Il film narra le indagini che lo costrinsero alle dimissioni: mentre l’inchiesta ufficiale conobbe numerosi insabbiamenti (FBI e CIA erano colluse), furono i due reporter a far emergere man mano la verità. Partendo da inizi minimi, risalgono a grossi nomi della politica, ai fondi neri della campagna per la rielezione del Presidente, e scoprono un’ampia campagna di sabotaggio dei repubblicani contro i democratici. La vicenda è complicatissima, fitta di nomi e collegamenti, ma narrata in maniera rigorosa e appassionante, e intrisa di quell’aria di cospirazione e paranoia che imperava negli States – oltre ad essere un saggio sul buon giornalismo.

Capricorn One (1977) di Peter Hyams

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Lo sbarco sulla Luna è un altro dei temi essenziali del filone complottista, in grado di accendere il dibattito dalla Guerra Fredda fino ai nostri giorni. Hyams, ottimo artigiano dell’action/thriller, immagina una missione spaziale su Marte, che per un guasto non può partire: i tre astronauti vengono condotti in una base nel deserto e devono essere eliminati per mantenere il segreto. Un giornalista (Elliott Gould) sospetta qualcosa e indaga per suo conto. Non sarà celebre come i film di Pollack e Pakula, ma Capricorn One è una lezione di cinema, in quanto a narrazione, suspense, pathos e scene d’azione; ed è forse il primo film a ipotizzare – tramite un viaggio immaginario – che l’uomo non sia mai stato sulla Luna, e che l’allunaggio sia una finzione frutto di una cospirazione governativa. Ci sono gli emissari del governo che ricorrono ai metodi più crudeli per insabbiare la vicenda; c’è un tecnico troppo curioso che scompare nel nulla dando il via ai sospetti del giornalista; e c’è una ricostruzione in studio di quello che dovrebbe essere Marte, proprio come i complottisti immaginano lo sbarco sulla Luna.

JFK – Un caso ancora aperto (1991) di Oliver Stone

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La Storia irrompe ancora di prepotenza nel cinema cospirativo con il monumentale thriller giudiziario di Oliver Stone sull’omicidio Kennedy, dove il focus sono le indagini condotte dal procuratore distrettuale Jim Garrison (Kevin Costner). L’opera è tratta dal libro scritto dal protagonista, e racconta come l’uomo di legge abbia ricostruito l’uccisione del Presidente, svelando una cospirazione troppo gigantesca per essere immaginata. L’inchiesta inizia con l’esecutore ufficiale, Lee Harvey Oswald, ed estendendo il raggio delle sue conoscenze entrano in gioco una serie di personaggi ambigui o intoccabili. La tesi di fondo è che Kennedy – il quale voleva aprire al dialogo con i comunisti, frenare il nucleare e ritirare le truppe dal Vietnam – insidiasse l’establishment conservatore e l’industria bellica; e che quindi il complotto sia stato ordito dai vertici del governo – CIA, FBI, politici, militari – insieme con la Mafia, in quello che è un vero e proprio colpo di Stato. Costner guida un cast stellare per il film più ambizioso di Stone: una scientifica, intricatissima e appassionante ricostruzione di uno fra i misteri più eclatanti degli States.

Ipotesi di complotto (1997) di Richard Donner

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Se gli anni Settanta sono stati quelli dell’impegno, negli anni Ottanta e Novanta vari registi prediligono lo spettacolo. E’ il caso del film di Donner, dove protagonista è un taxista paranoico (Mel Gibson), che crede di vedere complotti ovunque ed espone le sue teorie a un’avvocatessa (Julia Roberts): fino a quando si trova davvero al centro di una cospirazione, e insieme alla donna è braccato da pericolosi agenti della CIA che sveleranno oscuri segreti del suo passato. Donner miscela, come tipico del suo stile, azione, suspense e (poco) umorismo, in una vicenda che ricalca un po’ lo schema del Pendolo di Foucault di Umberto Eco: i cui personaggi, a forza di giocare al complotto, finiscono per immischiarsi in uno vero, e sono guai seri. Il sostrato – cioè il lavaggio del cervello da parte del governo per creare assassini – non è nuovo, ma è geniale l’idea di mettere in scena un complotto che parte da un personaggio egli stesso paranoico e allucinato, e le cui frasi ricordano quelle di molti complottisti. Degno di nota anche il villain, interpretato da un diabolico Patrick Stewart.

Nemico pubblico (1998) di Tony Scott

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Nel robusto action-thriller dello specialista Tony Scott, protagonista è un avvocato (Will Smith) che entra casualmente in possesso di un video che riprende l’omicidio di un politico per mano di un dirigente dell’NSA: ricercato dall’agenzia, con l’aiuto di un ex agente segreto (Gene Hackman) cerca di prevedere le loro mosse per salvarsi. È una macchina spettacolare con lo stile ipercinetico e roboante tipico del regista, ma il tema che sta alla base è attuale e scottante: la legittimità o meno delle intercettazioni del governo sui privati cittadini. Il personaggio di Gene Hackman sembra riprendere quello de La conversazione – potrebbe idealmente essere ancora Harry Caul – con le sue paranoie e gli strumenti tecnici (il film di Coppola è omaggiato più volte). Che sono gli stessi mezzi dei nemici, fra intercettazioni telefoniche e ambientali, cimici, satelliti-spia e telecamere nascoste. Insomma, quasi una rivisitazione hi-tech del modello, che anticipa la realtà di Snowden ponendo una domanda: dove sta il confine fra sicurezza nazionale e privacy?

The Manchurian Candidate (2004) di Jonathan Demme

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È il remake dell’omonimo film di Frankenheimer del 1962, in cui i ricordi di alcuni soldati erano modificati dai russi tramite il lavaggio del cervello. The Manchurian Candidate aggiorna la storia ai nostri tempi, sostituendo i comunisti con le Corporazioni, i cosiddetti poteri forti. Un ufficiale (Denzel Washington), reduce della guerra del Golfo, è tormentato da incubi, come i suoi commilitoni: scopre che sono stati oggetto di esperimenti mentali da parte di frange deviate del governo per manovrare le future elezioni presidenziali e far eleggere un uomo della Manchurian. Il film di Demme è forse il thriller cospirativo per eccellenza degli anni Duemila: la Manchurian è una potentissima multinazionale politica ed economica di cui fanno parte finanzieri, presidenti e dittatori, una rete invisibile che governa il mondo; i suoi strumenti sono il lavaggio del cervello, l’ipnosi, e tecniche di guerra ai limiti del fantascientifico. Un climax crescente di flashback, esperimenti, incubi, paranoie mentali e sociali sfocia nell’attentato da manuale che conclude il film.

Snowden (2016) di Oliver Stone

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Stone prosegue le sue indagini negli eventi oscuri della storia americana. Parecchi anni dopo JFK e Nixon, il regista mette in scena Edward Snowden (Joseph Gordon-Levitt), un esperto informatico che lavora per la CIA e scopre un programma illegale di sorveglianza su milioni di persone. Decide di denunciare l’accaduto ad alcuni giornalisti, facendo conoscere al mondo questi segreti, e poiché ritenuto un traditore è costretto a vivere fuori dagli USA. Come Nemico pubblico, e in modo ancora più estremo e reale, è una sorta di trasposizione della paranoia seventies aggiornata ai tempi del web e dell’hi-tec: reti di contatto inimmaginabili, intercettazioni abusive, dati personali che finiscono in mano al governo – pensiamo a un motore di ricerca come Google ma in grado di leggere ogni nostra mail. E’ paranoia allo stato puro, dove la lotta al terrorismo diventa una scusa per il controllo economico, sociale e politico degli americani e del mondo intero. Il film pecca forse di alcuni tecnicismi di troppo, ma è uno dei migliori thriller politici degli ultimi anni.