#iostoacasa: esorcizza la paura con Nocturno

Pandemia - Guida al cinema (anti)batterico - Capitolo 6: Epidemie fatte in casa
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#iostoacasa e leggo Nocturno – Pandemia – Guida al cinema (anti)batterico – Capitolo 6:

EPIDEMIE FATTE IN CASA

Gli straight-to-epidemic sono un genere recente nel cinema americano ma non solo in quello – se ne danno esempi anche in Francia e in Germania. Sostanzialmente, riconoscono nelle grandi paure scaturite dalla Sars prima e dall’aviaria poi, tra gli anni Novanta e questo nuovo secolo, il loro primo motore immobile. Ci sarebbe da aggiungere anche la Bes, la Mucca pazza, ma i film che la tirano in mezzo – almeno quelli di cui chi scrive è a conoscenza –  fino all’ultimissimo Zombieland, piegano indefettibilmente  verso la variante “z”. Qui invece ci interessano gli epidemici puri (o quasi), quelli che per madri hanno le nuove pestilenze di cui sopra, e come padre, quantomeno putativo, l’Outbreak di Wolfgang Petersen (in Italia Virus letale, 1995): un film che non ha riportato a casa nemmeno i soldi con cui ripagare i cestini delle comparse; e che rivisto adesso, in Italiano, nell’esatto momento in cui Dustin Hoffmann con la voce impastata di Ferruccio Amendola mormora: «È aerobico…», a proposito di una specie di Ebola che fino a qual punto si credeva infettasse solo per contatto, offre l’abbacinante rivelazione di come questi attori, questo regista, questo cinema siano Il Male. Ancora peggio di Steven Seagal, che se l’è ovviamente fatta pure lui con un virus letale in The Patriot (1998). Nel film di Petersen ci sono due sole cose buone: la prima è l’inizio, quando in un villaggio dello Zaire appestato dal virus, i poveretti si aspettano che gli americani gli paracadutino aiuto mentre invece gli spediscono di sotto una bomba che fa tabula rasa.

Virus letale (1995)

Virus letale (1995), Wolfgang Petersen

La seconda è che il sequel, Outbreak 2: The Virus Takes Manhattan, non sono mai riusciti a girarlo. Invece Armand Mastroianni girò subito, a tempo di record, un clone tv dal titolo Virus: stessa identica storia di Outbreak, compresa una scimmia come “ospite” sana propagatrice del contagio. Il leading role è della “casalinga disperata” Niccollette Sheridan e quanto se ne guadagni rispetto a Hoffmann è incalcolabile. Mastroianni da lì in poi ha inanellato una filmografia “virologica” senza precedenti e senza epigoni possibili: nel 1997 gira Invasion (con Luke Perry e Kim Cattral: virus extraterrestre), nel 1999 Fatal Error (con Antonio Sabato jr: un virus informatico evolutosi in virus organico micidiale), nel 2007 Pandemic, cavalcando l’onda lunga della psicosi dell’aviaria. Un utente IMDB crede di avere identificato in una scena del film un UFO nel cielo; un altro gli risponde: “It was dignity, flying out the window…”. Mastroianni oltre che nei virus si è specializzato nelle catastrofi meccaniche, aerei e treni impazziti. Però non l’ha firmato lui Pandora’s Clock (1996), un tv-movie di tre ore in cui un virus terribile chiamato Doomsday impazza a bordo di un Boeing 747. La regia è di Eric Laneuville, lo si è visto anche in Italia su Canale 5 e non è male, né parco in tensione. Stessa storia ma su un treno in Derailed (2002), di Bob Misiorowski – che probabilmente Cassandra Crossing non sapeva neppure cosa fosse – con protagonista Van Damme.

Fatal Contact Bird Flu in America (2006), Richard Pierce

Fatal Contact Bird Flu in America (2006), Richard Pierce

E s’è già detto tutto. Lungo il filone “aviaria” qualcosa che si stacca dal mucchio c’è: Fatal contact: Bird Flu in America (2006) di Richard Pierce, spinge alle estreme conseguenze un epidemia di “influenza dei polli” propagatasi dalla Cina, facendo del virus responsabile un proteo mostruoso e mortifero di fronte al quale ogni ipotesi di vaccino è vana. Risultato: i morti sono milioni, scanditi da un counter che ogni tanto appare sulle immagini e rende il computo verso la fine dell’umanità piuttosto angosciante. Altro punto a favore Joely Richardson, la figlia di Vanessa Redgrave, nei panni di una virologa governativa che lotta contro l’impossibile. Nella scena finale, la Richardson si ritrova in un villaggio africano sterminato da una nuova variazione del male, mentre stormi di uccelli volano via diretti chissà dove. Brividi da fantaecologico di altri tempi. Flu Bird Horror (Leigh Scott, 2008) trae in inganno per il titolo ma tratta in realtà di uccellacci carnivori che somigliano a pterodattili. L’aviaria qui è pretestuosa, come lo è in Virus Undead (2008) del tedesco Wolf Wolff – che diventa presto un film di zombi – e come lo è la “mucca pazza” in Kaw (2007) di Sheldon Wilson, deludente rip-off di Gli Uccelli, con i corvi nutritisi di carne infetta da Bes. I conti con la Sars – un coronavirus che fu individuato nello zibetto, una sorta di gatto, e che si specula possa essere passato all’uomo a causa della barbarie culinaria orientale, dove questa specie entra come ingrediente in vari piatti – li facciamo in un numero più limitato di film. Uno è il televisivo Plague City: Sars in Toronto del 2005, ambientato nella metropoli canadese che due anni prima aveva vissuto il grande panico di un focolaio di “polmonite atipica”. Il regista David Wu va sull’apocalittico, con morti a caterve, strade deserte e scenari da post-atomico, ma semplifica con disinvoltura lo zibetto incriminato in un semplice gatto domestico. Buona la protagonista, una bionda attrice canadese di nome Kari Matchett.